
Il 26 febbraio 2025 la Commissione UE ha presentato l’Omnibus I, un pacchetto di misure volto a rivedere in modo coordinato le tre normative sulla reportistica di sostenibilità per aziende e istituti finanziari: CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) e Tassonomia UE. Come già evidenziato in un precedente articolo, l’obiettivo dichiarato è quello di alleggerire il carico amministrativo per le imprese europee, riducendo adempimenti e soglie di applicazione.
Nei prossimi mesi, Consiglio e Parlamento europeo saranno chiamati a votare la proposta della Commissione: un momento cruciale per capire quali posizioni adotteranno gli Stati Membri di fronte a questo processo di semplificazione.
Trasparenza e qualità dei dati sono fondamentali
Le direttive CSRD, CSDDD e la Tassonomia non vanno interpretate come semplici vincoli burocratici, bensì come strumenti strategici per mettere il rischio climatico al centro delle decisioni finanziarie. Un reporting armonizzato e comparabile consente infatti a banche e investitori di valutare con maggiore precisione l’esposizione ai rischi fisici (come alluvioni, ondate di calore) e ai rischi di transizione (cambiamenti normativi, innovazioni tecnologiche), così da indirizzare i capitali verso imprese con una strategia di transizione credibile e concreta. Le modifiche proposte con l’Omnibus I riducono l’obbligo di divulgazione di alcune informazioni. Questo rischia di indebolire il patrimonio informativo, togliendo alle istituzioni finanziarie gli strumenti per valutare e gestire i rischi climatici, con un impatto diretto nelle loro valutazioni finanziarie.
Cosa cambierebbe con Omnibus I in UE
La proposta della Commissione prevede che la CSRD si applichi soltanto alle aziende con più di 1.000 dipendenti e €50 milioni di fatturato, escludendo così circa l’80% delle imprese italiane ed europee attualmente soggette agli obblighi di rendicontazione. Parallelamente, la proposta di revisione della CSDDD limiterebbe la due diligence ai soli fornitori diretti (Tier 1), ignorando i rischi potenzialmente più gravi nascosti a monte o a valle della catena del valore. Senza adeguati correttivi, questa riduzione del patrimonio informativo, rende più difficile identificare e valutare i rischi reali e lascia maggior spazio a pratiche di greenwashing.
PMI: il cuore della transizione rischia di rimanere indietro
Le Piccole Medie Imprese (PMI) costituiscono oltre il 50 % del PIL dell’Unione Europea e sono responsabili del 63 % delle emissioni del settore privato. Eppure, con le nuove soglie previste da Omnibus I, molte di queste realtà verrebbero di fatto escluse dal perimetro della CSRD, della CSDDD e della Tassonomia. Il risultato? Una frattura crescente tra le grandi imprese, che grazie a dati certificati avrebbero un accesso agevolato al credito e finanziamenti green, e le PMI che rimarrebbero ai margini. Infatti, in assenza di una reportistica armonizzata e dati affidabili, gli operatori finanziari potrebbero percepire le PMI come soggetti ad alto rischio climatico, applicando condizioni più restrittive su prestiti e investimenti o, addirittura, escludendole completamente dai meccanismi di finanziamento legati alla transizione verde.
Cosa si potrebbe fare
1. Affinare e armonizzare gli standard di rendicontazione
La Commissione Europea dovrebbe concentrarsi sul perfezionamento e sull’armonizzazione degli standard di rendicontazione di sostenibilità in tutti i principali ambiti regolatori, garantendo la creazione di un set di dati unico, coerente e proporzionato. Servirebbe un sistema di rendicontazione “a scalini”, che consenta una gradualità in base a dimensioni e tempi di adozione. Le PMI e le mid-cap potrebbero infatti partire da un nucleo essenziale di indicatori, ampliando progressivamente il perimetro della reportistica. Questo approccio permetterebbe di snellire i flussi informativi, ridurre gli oneri di conformità e consentirebbe a tutte le aziende di costruire nel tempo capacità interne per fornire dati di sostenibilità di alta qualità e utili per le decisioni.
2. Supporto e incentivi mirati per le PMI
Per evitare che le PMI vengano escluse dai finanziamenti green a causa di gap informativi, è fondamentale che la Commissione e gli Stati membri introducano politiche di supporto mirate, e che le grandi aziende si facciano carico di accompagnare i propri fornitori nella transizione. Le azioni prioritarie comprendono:
- Incentivi finanziari legati all’adozione di piani di transizione credibili (es. green loans, garanzie, tassi agevolati).
- Capacity building tramite formazione tecnica, implementazione o aggiornamento di sistemi gestionali e affiancamento operativo.
- Assistenza finanziaria mirata, come condivisione della consulenza o prestiti agevolati per lo sviluppo di infrastrutture per la reportisica.
- Strumenti condivisi, come template standardizzati e software per la raccolta dati, per ridurre costi e complessità della compliance.
Sostenendo un approccio equilibrato, l’UE potrà compiere un passo decisivo verso un quadro regolatorio solido, in grado di indirizzare i capitali verso la transizione climatica senza gravare eccessivamente sulle imprese. Al contrario, un eccesso di semplificazione rischia di minare l’efficacia stessa della finanza sostenibile, riducendo la qualità dei dati disponibili e impedendo al mercato di distinguere chi sta investendo concretamente nella transizione.
Serve quindi un Omnibus UE che semplifichi, ma non a costo di sacrificare la trasparenza e la comparabilità delle informazioni. Solo così l’Europa potrà garantire un terreno di gioco equo per tutte le imprese, in particolare le PMI, e continuare a proteggere il sistema finanziario dai rischi legati al clima.
Questo policy briefing propone soluzioni per semplificare, dove necessario, senza sacrificare la qualità e la comparabilità delle informazioni.
Foto di Sara Kurfeß
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