
È salito a 25,2 miliardi di euro il volume d’affari delle agromafie in Italia, segnando un raddoppio rispetto a poco più di un decennio fa. Lo rivela il nuovo Rapporto sui crimini agroalimentari, realizzato da Coldiretti, Eurispes e Fondazione Osservatorio Agromafie. Un’analisi allarmante che racconta di un sistema criminale sempre più pervasivo, capace di agire su scala internazionale e di inserirsi in ogni anello della filiera, dalla produzione alla tavola.
Le mafie rurali non si limitano più alla semplice intermediazione o al furto di bestiame: oggi controllano logistica, fondi pubblici, ristorazione e grande distribuzione, falsificano etichette, adulterano prodotti alimentari e sfruttano lavoratori attraverso il caporalato, spesso con la complicità di professionisti compiacenti.
“Oggi il settore agroalimentare è sempre più nel mirino della criminalità organizzata”, ha dichiarato Gian Maria Fara, presidente di Eurispes. “Le mafie approfittano delle difficoltà economiche delle imprese agricole per infiltrarsi nella proprietà della terra e nel sistema produttivo. La loro forza è la liquidità, che usano per prestiti usurari o per acquistare aziende in difficoltà, replicando pratiche simili al land grabbing”.
Un elemento emergente è la presenza di “imprese senza terra”: cooperative fittizie che forniscono manodopera a basso costo alle aziende agricole. Questi soggetti impongono ai lavoratori l’adesione forzata, senza garantirne i diritti, e praticano retribuzioni inferiori fino al 40% rispetto ai contratti previsti, spesso a insaputa delle stesse imprese.
Gravi criticità sono state evidenziate anche nella gestione dei flussi migratori, con reti transnazionali – soprattutto tra Italia e subcontinente indiano – che organizzano l’arrivo di lavoratori in cambio di denaro, per poi impiegarli in condizioni di sfruttamento e privi di tutele.
Il Rapporto punta i riflettori anche sulle frodi alimentari sistemiche, che spaziano dall’uso di agrofarmaci vietati alla vendita di prodotti adulterati nei discount. I settori più colpiti sono vino, olio, mangimi e riso, spesso etichettati falsamente come biologici. L’Italian sounding – il fenomeno dei prodotti esteri che imitano l’italianità – vale ormai oltre 120 miliardi di euro, quasi il doppio dell’intero export agroalimentare italiano. Il “Calsecco” californiano e il “Parmesan” statunitense sono solo la punta dell’iceberg.
Ma anche all’interno dei confini italiani si sfruttano scappatoie nel codice doganale, che consentono di etichettare come “Made in Italy” cibi trasformati nel nostro Paese ma prodotti altrove.
In occasione della presentazione del rapporto, è stato accolto con favore l’annuncio dell’approvazione del disegno di legge che introduce nel codice penale un nuovo titolo sui delitti contro il patrimonio agroalimentare, ispirato alla cosiddetta “Legge Caselli”.
Il ddl prevede l’introduzione del reato di agropirateria, punisce le frodi alimentari organizzate e introduce nuove sanzioni per chi commercializza alimenti con indicazioni ingannevoli. Previsti anche strumenti di tutela per Dop e Igp, la possibilità di donare alimenti sequestrati, e sanzioni proporzionate al fatturato per colpire le grandi aziende in modo equo.
“Difendere la filiera significa garantire un giusto prezzo dal campo alla tavola”, ha dichiarato Vincenzo Gesmundo, segretario generale Coldiretti. “Non è accettabile che si vendano prodotti a prezzi stracciati mentre agricoltori e lavoratori pagano il costo nascosto di queste dinamiche”.
Foto di lumix2004 da Pixabay.com
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