
Alla fine, per l’Europa potrebbero restare i dazi americani «ammorbiditi» al 10 per cento, con diversificazioni per settori come auto, acciaio e alluminio. Sarà questo lo scenario più probabile, secondo Gregorio De Felice, capo economista e responsabile del dipartimento ricerca di Intesa Sanpaolo, che si presenterà come esito delle trattative in corso tra Stati Uniti e Unione europea sulla guerra commerciale scatenata dal presidente americano Donald Trump. I dazi, per ora sospesi, colpiranno sì la manifattura italiana, ma molto meno del previsto.
I numeri del nuovo Rapporto sui settori industriali italiani di Intesa Sanpaolo e Prometeia sono in effetti tutt’altro che catastrofici. Il calo di crescita complessiva della manifattura italiana nel 2025 potrebbe aggirarsi intorno allo 0,2 per cento, ma poi si tornerà a crescere con un +1 per cento dal 2026.
Il recupero dei prossimi mesi non sarà sufficiente a riportare il manifatturiero italiano su un percorso di crescita, ma ci sarà una sostanziale stabilizzazione del fatturato sui livelli del 2024, con un giro d’affari complessivo pari a 1143 miliardi di euro. E con il raffreddamento dell’inflazione, anche la debole ripresa del mercato interno ed europeo, grazie soprattutto al rilancio della Germania, serviranno a controbilanciare l’incertezza delle politiche commerciali americane.
«Il dazio medio effettivo dagli Stati Uniti sarà più alto rispetto a prima, ma non così drammaticamente alto», spiega De Felice. E a mitigare l’impatto delle nuove tariffe concorrono anche fattori positivi come «il minore prezzo dell’energia, la politica monetaria espansiva della Bce, condizioni creditizie migliori, ma anche la capacità di diversificazione delle nostre imprese manifatturiere. Quello che ci attendiamo per l’Italia è una crescita lenta ma resiliente, potendo contare anche sugli investimenti del Pnrr e su un sistema bancario e industriale molto più resistenti agli shock esterni rispetto al passato».
Il fattore chiave delle imprese italiane per resistere alle politiche di Trump è che i principali prodotti esportati dall’Italia verso gli Stati Uniti hanno una bassa elasticità, cioè non sono facili da sostituire nel breve periodo, grazie a una specializzazione delle imprese italiane in merci di nicchia. A differenza della Cina, che ha centrato l’export su prodotti a basso prezzo, le imprese italiane si sono posizionate su mercati «alto spendenti» con consumatori disposti a spendere anche un po’ di più. Emblematico il caso di Ferrari che, in risposta all’annuncio dei dazi da parte di Trump, ha immediatamente rivisto la propria politica commerciale con un aumento dei prezzi fino al 10 per cento. Quando si è nella fascia alta del mercato, ci si può permettere trasferire il costo extra dei dazi sui clienti.
Se si guarda la composizione delle merci fornite dall’Italia agli Stati Uniti, il 36,8 per cento è composto da prodotti di fascia alta. Non solo per la meccanica, che produce beni a elevato valore aggiunto, ma anche per settori come alimentare e moda, dove la quota di mercato dell’Italia sui prodotti a prezzo elevato raggiunge il 7 e il 6 per cento. Rilevanti anche le quote dei beni di largo consumo (9,8 per cento) e dei materiali da costruzione (7,7 per cento), incluso il comparto delle piastrelle. Questo posizionamento, si legge nel report, «potrebbe rappresentare un vantaggio competitivo importante per l’Italia, sia nel caso di introduzione effettiva di dazi da parte dell’amministrazione americana, sia nell’ottica di espansione su altri mercati».
«Il nostro export è spostato verso settori a elevato contenuto tecnologico, soprattutto nella farmaceutica», spiega Alessandra Lanza, senior partner di Prometeia. «La crescita che abbiamo creato negli Stati Uniti è una crescita di qualità».
Le prospettive per i prossimi quattro anni sono quindi positive. Nel quadriennio 2026-2029, secondo i dati del report, l’industria manifatturiera crescerà a ritmi vicini all’1 per cento medio annuo. Nonostante il contesto di domanda mondiale più debole rispetto al passato, la previsione è che il saldo commerciale dell’industria manifatturiera italiana continuerà a espandersi, posizionandosi sui 134 miliardi di euro al 2029, circa 31 miliardi in più rispetto al 2019, di cui più della metà realizzato dalla meccanica.
Centrali saranno anche gli investi diretti, che rappresentano un’ulteriore leva a disposizione delle imprese. Se si guarda al mercato americano, la presenza di imprese italiane che producono oltreoceano è cresciuta negli ultimi anni. Con oltre 34,4 miliardi di euro di fatturato manifatturiero prodotto negli Stati Uniti (nel 2022), l’Italia si colloca al quinto posto del ranking europeo per investimenti diretti negli Stati Uniti (con una quota del 4,3 per cento). La meccanica è il primo settore, seguito da gomma-plastica e prodotti da costruzione e dall’alimentare. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti sono stati anche il principale mercato di destinazione delle acquisizioni italiane all’estero, sia in termini di valore che di numero delle operazioni di merger and acquisition.
Alla risalita della manifattura italiana concorrerà poi anche la timida ripresa dei consumi interni. Ma a crescere saranno soprattutto gli acquisti di servizi. Questo perché – spiegano da Intesa Sanpaolo – nonostante i rinnovi contrattuali, il recupero del potere d’acquisto delle famiglie italiane resta comunque parziale. Mentre gli acquisti di beni durevoli, come auto e moda, «continueranno a stazionare su livelli depressi».
Nelle previsioni, meccanica, largo consumo e farmaceutica registreranno le performance migliori del 2025. Gli acquisti di farmaci e cosmetici continueranno a ricevere grande attenzione nel paniere di spesa dei consumatori, in un contesto di invecchiamento demografico e attenzione al benessere personale. In crescita sopra la media manifatturiera anche i settori connessi alla doppia transizione digitale e green, ovvero meccanica ed elettronica.
Le attese sono invece di un modesto rimbalzo per auto e moto, alle prese con il difficile passaggio all’elettrificazione. Poco dinamici pure il settore del mobile ed elettrodomestici. Così come i produttori di beni intermedi. Chiudono la classifica 2026-29 i prodotti e materiali da costruzione, unico settore con prospettive di contrazione dopo lo stop al Superbonus.
Nella risalita della manifattura dei prossimi due anni avranno un ruolo centrale gli investimenti del Pnrr. Ma a partire dal 2028, quando il piano sarà concluso, in assenza di nuovi provvedimenti a sostegno del mercato interno, il ruolo di traino tornerà a essere affidato soprattutto alle esportazioni.
Il contesto di domanda mondiale si confermerà comunque più debole rispetto al passato, tra rischi geopolitici e i nuovi e imprevedibili equilibri nella geografia degli scambi. Per aggredire i mercati che offriranno le maggiori opportunità di crescita, il rapporto spiega che la competitività delle imprese continuerà a giocarsi sulla leva degli investimenti per rafforzare i processi di digitalizzazione, efficientamento energetico e sostenibilità dell’offerta. Per l’Italia, però, resta ancora il gap da colmare nei confronti dei concorrenti europei, in particolare nell’uso di tecnologie avanzate come i big data e l’intelligenza artificiale. Questo divario è ancora più evidente tra le piccole e medie imprese italiane, più indietro rispetto alle grandi aziende. Resta poi da affrontare il vincolo, ormai strutturale, di carenza di adeguate competenze per supportare la doppia transizione. Al di là dei dazi, gli scarsi investimenti in capitale umano possono a loro volta intensificare i ritardi tecnologici, in una spirale che comprime le possibilità di crescita e di attrattività.
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