
di Mariagrazia Lupo Albore, Direttore generale Unimpresa
La Direttiva europea 2023/970 sulla trasparenza retributiva, entrata in vigore nei mesi scorsi, sta per segnare un passaggio importante nella lunga battaglia per la parità salariale tra uomini e donne. È un segnale politico forte, oltre che una cornice normativa concreta: impone obblighi stringenti alle imprese per rendere pubblici i criteri di determinazione delle retribuzioni e garantire che a parità di lavoro corrisponda parità di salario. Da sempre siamo impegnati nella tutela delle piccole e medie imprese: riconosciamo, perciò, il valore etico e civile di questo provvedimento. È giusto che si intervenga su una delle disuguaglianze più resistenti e meno giustificabili nel mondo del lavoro. In Italia, secondo l’Eurostat, il gender pay gap medio è attorno al 5%, ma questo dato – pur basso rispetto ad altri Paesi – nasconde profonde disparità settoriali e di carriera.
Detto ciò, va detto con chiarezza: gli oneri burocratici e amministrativi che la direttiva impone rischiano di pesare in modo sproporzionato sulle piccole realtà imprenditoriali. Parliamo di aziende che spesso non superano i 10-15 dipendenti, che non dispongono di strutture di compliance o uffici legali interni. L’obbligo di redigere report retributivi dettagliati, di confrontare salari medi per genere e di giustificare eventuali scostamenti rappresenta un impegno gravoso, che rischia di tradursi in costi aggiuntivi, consulenze esterne e ulteriore complessità gestionale.
Serve, allora, equilibrio. La parità salariale non si persegue a colpi di adempimenti, ma costruendo una cultura dell’equità, della valorizzazione del merito, della formazione continua. Per questo chiediamo al governo italiano, che dovrà recepire la direttiva entro il 2026, di prevedere un’applicazione graduale e proporzionata. Le piccole imprese non possono essere trattate come le grandi multinazionali: occorrono soglie di esenzione, semplificazioni procedurali, incentivi per le aziende virtuose.
Inoltre, è necessario investire in strumenti che aiutino davvero a colmare il divario: formazione manageriale, welfare aziendale, programmi di mentoring per le donne nei ruoli apicali. Non si tratta solo di giustizia sociale, ma anche di competitività economica. Le imprese che valorizzano il talento femminile crescono meglio, innovano di più, attraggono capitale umano qualificato. La battaglia per la parità salariale è una battaglia che riguarda tutti, nessuno escluso. Ma va combattuta con intelligenza, senza trasformare un obiettivo nobile in un peso burocratico. Le Pmi italiane, che sono la spina dorsale del nostro sistema produttivo, meritano rispetto, ascolto e strumenti adeguati per fare la loro parte. E noi saremo al loro fianco.
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