29 Maggio 2025
Politiche Usa anti DEI con effetti sugli obiettivi europei di sostenibilità


Oltre ai dazi che andranno a colpire i prodotti di origine europea, le aziende che operano con gli Stati Uniti si trovano a dover fronteggiare gli effetti che derivano dai tre Ordini esecutivi emanati dal Presidente Trump il 21 gennaio 2025, sulle politiche DEI (“Diversity Equity Inclusion”), che interessano sia le agenzie del Governo federale che le aziende private federali:
– l’ordine di porre fine ai programmi DEI adottati dal Governo federale;
– l’ordine alle pubbliche amministrazioni di abolire le politiche volte a favorire le assunzioni di personale svantaggiato per ragioni di genere, razza, religione, disabilità o altri fattori;
– l’ordine di sviluppare strategie volte a scoraggiare le pratiche DEI nel settore privato e ripristinare il criterio del merito.

Le aziende europee che hanno in essere contratti di durata con società americane a partecipazione pubblica hanno ricevuto la richiesta di sottoscrivere un addendum di modifica/integrazione con cui devono garantire di non aver adottato e che non adotteranno alcun programma che promuova la DEI in contrasto con le nuove direttive e di convenire “che tale certificazione è rilevante ai fini della decisione di pagamento del governo e pertanto è soggetta al False Claims Act. 31 U.S.C. 3729(b)(4)”.

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In caso di mancata sottoscrizione e invio della dichiarazione, il contraente è esposto al rischio di risoluzione del contratto in essere. Il rilascio di una dichiarazione inesatta o falsa costituisce una violazione che espone il contraente al rischio di dover restituire le somme percepite e di dover versare una penale pari a tre volte il valore del contratto (“triple damage”).
È inoltre assai probabile che analoghe richieste perverranno anche dalle grandi imprese private.

Sotto il profilo del diritto internazionale privato e processuale, è dubbio che le domande risarcitorie e le penali possano essere fatte valere nelle giurisdizioni europee. Ma la risoluzione del contratto – comminata per falsa dichiarazione o per il rifiuto di adeguare il contratto – potrebbe avere conseguenze devastanti sotto il profilo economico e finanziario.
Gli ordini esecutivi anti DEI si scontrano con valori fondanti delle nostre carte costituenti, nazionali e comunitarie, che si ispirano ai doveri di eguaglianza e solidarietà sanciti dagli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione e dall’art. 2 del Trattato Ue.
Le cosiddette politiche DEI – riflesse in particolare negli obiettivi “S” (Social) e G (Governance) dell’acronimo ESG – sono inoltre recepite in numerose direttive comunitarie e già rese obbligatorie e operative in numerose disposizioni nazionali.

Si tratta di uno scontro tra valori fondamentali e non solo di una semplice “Battle of forms”

La Corporate Sustainability Due Diligence Directive Ue 2024/1760 (CSDDD), approvata il 24 aprile 2024, impone infatti alle imprese europee di verificare lungo tutta la catena di fornitura/valore che i loro partner commerciali rispettino gli obiettivi ESG, e, come ultima risorsa, di interrompere la relazione commerciale se le politiche del proprio partner possono causare un grave impatto negativo sull’ambiente o sui diritti umani.

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Ma indipendentemente dall’applicazione della CSDDD, in alcuni Paesi europei è già vigente l’obbligo del committente di verificare lungo tutta la filiera che le società controllate/fornitrici/affiliate rispettino le prescrizioni (penalmente sanzionate) in materia di tutela dell’ambiente, dei consumatori e sfruttamento illecito dei lavoratori.
In Italia, un rilievo particolare assume il quadro normativo volto a prevenire e reprimere il fenomeno dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, sanzionato penalmente dall’art. 603-bis c.p. e inserito nell’elenco dei reati presupposto dell’art. 25-quinquies del DLgs. 231/2001 e nell’elenco dei reati la cui commissione legittima la comminazione delle misure di prevenzione previste dall’art. 34 del DLgs. 159/2011.

È quindi facile immaginare come questi nuovi obblighi siano destinati ad avere un significativo impatto sulle operazioni di M&A, di joint venture, nonché sugli accordi di fornitura a lungo termine e più in generale sulle relazioni commerciali con le aziende americane, che sono ora svincolate dal rispetto di norme per noi obbligatorie e anzi addirittura penalmente sanzionate.

In questo nuovo, delicato scenario, al fine di ottemperare agli obblighi di organizzazione e pianificazione delineati dal nuovo art. 2086 c.c., l’organo dirigente dovrà verificare l’impatto di questi nuovi profili di rischio sui piani aziendali, al fine di valutarne l’attendibilità e coerenza e, ove si renda necessario, dovrà rivedere le assumption del piano e adottare con tempestività le necessarie misure correttive, al fine di evitare la risoluzione dei rapporti pendenti.

Attesa la complessità del contesto normativo, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della diligenza professionale cui gli amministratori sono tenuti, sarà fondamentale il coinvolgimento, in tutte le giurisdizioni coinvolte, di professionisti provvisti delle competenze multidisciplinari necessarie per valutare la portata dei nuovi ordini esecutivi, il loro effettivo ambito di applicazione, il loro grado di recepimento (non uniforme nei vari stati confederati), le aree di potenziale conflitto con gli obblighi assunti a livello nazionale ed europeo, le conseguenze di possibili violazioni e gli spazi di manovra per individuare soluzioni alternative concordate volte a salvaguardare la conservazione e la continuità dei contratti.

La negoziazione collaborativa, ispirata ai principi della solidarietà, buona fede e trasparenza, costituirà lo strumento vincente per riunire tutte le parti e i loro professionisti a un tavolo di trattativa volto a individuare, in modo costruttivo, una soluzione condivisa che consenta di superare le difficoltà insorte ed evitare la rescissione del contratto, perseguendo l’interesse comune di salvaguardare la continuità aziendale e il valore che le imprese creano per tutti gli stakeholders.



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