29 Maggio 2025
Competenze, consapevolezza, sostenibilità: perché le Pmi non possono più rimandare l’innovazione digitale – Artser


«O fate trasformazione digitale o morite». Il monito, netto e provocatorio, è firmato dal professor Marco Taisch, ordinario di Advanced and Sustainable manufacturing al Politecnico di Milano. Secondo Taisch, le sue parole non rappresentano un’esagerazione, ma una diagnosi lucida dello stato dell’industria di fronte alla doppia sfida dell’innovazione tecnologica e della sostenibilità. «Non puoi più non avere un sufficiente livello di digitalizzazione dentro un’impresa, perché non sarai produttivo» dice senza giri di parole.

Taisch affronta con pragmatismo i nodi della trasformazione digitale, smontando mode e fraintendimenti, e rilanciando un’agenda concreta per il futuro dell’industria italiana, soprattutto per le piccole e medie imprese.

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Le tecnologie non sono più una novità

«Tutte le tecnologie digitali che rientrano sotto il cappello dell’industria 4.0 sono oggi non più necessarie e indispensabili, ma irrinunciabili» afferma Taisch, che individua quattro tecnologie fondamentali:

– Internet of Things (IoT), che permette di collegare le macchine e raccogliere dati di processo;

– Cloud, dove i dati vengono memorizzati e resi accessibili;

– Dashboard, strumenti di visualizzazione che consentono agli operatori di controllare in tempo reale l’andamento degli impianti;

– Analisi dei dati, inclusa l’intelligenza artificiale, quando necessaria, per misurare e migliorare le prestazioni.

L’applicazione concreta è già realtà in molti casi: «Abbiamo lavorato con un’azienda che produce mozzarella, ottimizzando, in funzione del peso che la mozzarella deve avere nella confezione, la quantità di latte da utilizzare. Siamo arrivati a risparmiare quasi 500 mila euro all’anno del costo della materia prima, senza grandi algoritmi sofisticati» esemplifica il professore.

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Sostenibilità: meno slogan, più ingegneria

Taisch smonta con decisione l’idea che la sostenibilità sia un concetto astratto o, peggio, uno slogan: «Diffido da quelli che mi parlano di sostenibilità in maniera un po’ bucolica, alla Greta Thunberg».

Per lui, la sostenibilità industriale è prima di tutto una questione tecnica, ingegneristica, fatta di scelte misurabili e interventi mirati. «La sostenibilità è cambiare le lampadine. Cambiare i motori elettrici. È gestire la fabbrica in maniera tale da consumare di meno. È lavorare sui materiali riciclabili».

Ma non si limita al solo ambito produttivo: abbraccia anche l’intero ciclo di vita del prodotto, fino al comportamento dell’utente finale. «Se io insegno al mio consumatore a usare il mio prodotto in un certo modo piuttosto che in un altro, lo aiuto a consumare di meno».

Quella che propone è una sostenibilità concreta, integrata nei processi, nei prodotti e nelle abitudini. E per questo richiede – più che ideali astratti – una solida base tecnica e gestionale.

La barriera culturale

Il problema non è la tecnologia, bensì la cultura d’impresa: «Le nostre imprese sono ancora un po’ troppo sedute su un utilizzo limitato dell’impatto che la digitalizzazione può avere sui loro modelli di interesse».

Molte aziende, osserva, hanno comprato macchine nuove senza connetterle o sfruttarle appieno: «Se si sono limitate a fare questo, hanno perso una grande occasione».

Spesso manca la consapevolezza stessa del valore dei dati raccolti. «Spesso è una questione di ignoranza nel senso etimologico del termine, del management dell’imprenditore. Sono ancora troppo concentrati sulla velocità del mandrino o sul micron della rugosità superficiale» afferma

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E anche quando l’interesse c’è, spesso mancano le competenze interne. In questi casi, dice Taisch, è indispensabile «affidarsi a quegli esperti, a quei consulenti che siano capaci di trasformare i dati in produttività».

Modularità e gradualità: un vantaggio ancora sottovalutato

Un’opportunità spesso ignorata è la modularità delle tecnologie digitali: «Puoi cominciare a fare un proof of concept su una macchina, la colleghi, la usi, la studi. Se quella soluzione ti piace, poi la replichi sulle altre».

Questo approccio consente:

  • un’implementazione graduale,
  • una distribuzione diluita degli investimenti,
  • un minore impatto organizzativo iniziale.

La flessibilità della tecnologia 4.0 è particolarmente adatta proprio alle Pmi.

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Digital twin: la tecnologia che prevede il futuro

Un altro strumento ancora poco sfruttato è il digital twin, il gemello digitale degli impianti. «Oggi i digital twins sono molto poco utilizzati. Ho visto applicazioni solo in qualche grande azienda, nel piccolo siamo molto lontani».

Eppure il potenziale è enorme: «Mi consente di testare in maniera virtuale, in maniera digitale, l’impatto che avrò se faccio un ridisegno di un layout, se cambio delle macchine, se cambio un piano di produzione».

Le competenze come fattore abilitante

La trasformazione digitale richiede anche formazione e linguaggio comune. «Non è solo un tema di formazione della persona interna. Anche per poter ricorrere ai consulenti devi comunque avere quel linguaggio che ti consente di capire».

E guardando ai futuri ingegneri, Taisch è chiaro: «Ci vuole un po’ di multidisciplinarità. La sostenibilità è per sua natura multidisciplinare: è tecnologia, chimica dei materiali e modelli di business».

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Una nuova motivazione per innovare

Negli anni iniziali dell’Industria 4.0, il motivo principale per innovare era la competitività. Oggi la posta in gioco è più alta: la sopravvivenza. «La risposta che do oggi è: perché sennò muori» afferma Taisch senza giri di parole.

Ma c’è anche un cambio di prospettiva. «Con la sostenibilità abbiamo in qualche modo anche nobilitato la ragione della trasformazione digitale. Una volta la facevo per essere più produttivo, oggi diventa anche una responsabilità sociale».



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