
Il 24 maggio 2024 è stata approvata la Direttiva UE 2024/1760 sul dovere di diligenza delle imprese ai fini della sostenibilità (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, “CSDDD” o “Direttiva”), successivamente modificata per mezzo del pacchetto omnibus della UE che punta ad alleggerire la burocrazia per le imprese.
La Direttiva mira a promuovere comportamenti aziendali sostenibili e responsabili lungo tutte le catene di attività in coerenza con gli obiettivi ESG (Environment, Social e Governance) della UE, prevenendo e mitigando gli impatti negativi sui diritti umani, sull’ambiente e sul clima.
Direttiva Csddd, chi riguarda
Campo di applicazione:
- società UE con più di 3.000 dipendenti e 900 milioni di euro di fatturato a livello globale (dal luglio 2028);
- società extra-UE con più di 1,5 miliardi di euro di fatturato generato all’interno della UE (dal luglio 2028);
- società UE con più di 1.000 dipendenti e 450 milioni di euro di fatturato a livello globale (dal luglio 2029);
- società extra-UE con più di 450 milioni di euro di fatturato generato all’interno della UE (dal luglio 2029)
Le PMI, pur non direttamente obbligate, saranno coinvolte come partner commerciali nella catena di attività, o catena di fornitura o di valore.
Direttiva Csddd, gli obblighi per le aziende
I principali obblighi sono:
- contenuti del dovere di diligenza (art. 5)
- integrazione della due diligence nelle politiche aziendali e di gruppo (artt. 7 e 8);
- mappatura e valutazione dei rischi e degli impatti negativi effettivi e potenziali (art. 8);
- prevenzione e mitigazione degli impatti negativi potenziali (art. 10); e
- arresto e riparazione degli impatti negativi effettivi (artt. 11 e 12).
È importante sottolineare che l’obbligo è di mezzi e non di risultato (considerando 18 della Direttiva). L’obbligo è quello di individuare i rischi, gestirli, eliminarli o ridurne l’impatto per quanto possibile. In sintesi, le grandi società destinatarie della Direttiva dovranno:
- individuare i rischi;
- mapparli sulla base della loro attività e della loro struttura;
- gestirli e cercare di mitigarne gli impatti negativi in questi ambiti, oppure, eliminarli.
È chiaro che la società capofila, soggetta agli obblighi della Direttiva, non riuscirebbe da sola a individuare e mappare tutti i rischi, perché una parte di questi derivano dalla filiera del proprio indotto. Per garantire quindi una corretta implementazione della Direttiva, le società del gruppo o dell’indotto (che costituiscono la c.d. filiera) devono essere coinvolte.
Coinvolgimento e tutela delle PMI
La Direttiva presenta una serie oneri che ricadranno sulle PMI della filiera, ma il legislatore europeo ha previsto una serie di tutele, anche intervenendo successivamente alla prima versione della Direttiva tramite il c.d “pacchetto omnibus”:
- l’implementazione della Direttiva è basata su di un criterio di proporzionalità a beneficio proprio delle PMI;
- è prevista una valutazione dell’impatto sulle PMI con degli strumenti di sostegno che spaziano da specifici finanziamenti, sia da parte delle imprese capofila sia esterni, all’accesso alle conoscenze, al know-how e ai sistemi delle società madri o capo-filiere per poter affrontare meglio l’implementazione della Direttiva, sistemi che le PMI nella maggior parte dei casi non hanno;
- semplificazione degli obblighi di due diligence in materia di sostenibilità in modo che le aziende che rientrano nel campo di applicazione evitino complessità e costi inutili, ad esempio concentrando gli obblighi sistematici di due diligence sui partner commerciali diretti;
- riduzione della frequenza delle valutazioni periodiche e del monitoraggio delle PMI della filiera da annuale a quinquennale, con valutazioni ad hoc ove necessario; e
- riduzione degli oneri e degli effetti di trascinamento per le PMI, limitando la quantità di informazioni che possono essere richieste come parte della mappatura della catena del valore da parte delle grandi aziende capo-filiera.
Perché la Csddd è uno strumento a difesa delle PMI
La Direttiva rappresenta una grande opportunità di tutela per le PMI europee, e italiane in particolare. Infatti, attualmente le nostre PMI, europee e italiane in particolare, sono soggette a una forte concorrenza da parte di aziende extra-UE che hanno costi molto più bassi delle nostre e parametri ambientali e di rispetto dei diritti dei lavoratori molto diversi (per usare un eufemismo). Questa concorrenza impari (tecnicamente non è “sleale” ma lo è da un punto di vista sostanziale) produce uno schiacciamento sul prezzo che le nostre PMI non possono sostenere, anche per effetto della regolamentazione a loro applicabile, spesso onerosa e invasiva.
Ma come la CSDDD protegge le PMI italiane?
- allinea il rispetto dei criteri ESG a livello della UE, eliminando disparità tra stati membri;
- impone standard ESG anche alle imprese extra-UE operanti nel mercato europeo; e
- richiede che tutte le imprese della filiera rispettino obblighi analoghi.
Quali sono i vantaggi pratici?
- Miglioramento della competitività europea di chi già opera nel rispetto delle regole. Le PMI italiane, solo per il fatto di operare nel rispetto della normativa italiana, sono già sostanzialmente in linea con il rispetto dei criteri della Direttiva, dovendo semplicemente riportare e monitorare il rispetto degli obblighi della Direttiva;
- miglioramento della posizione competitiva e maggiore solidità contrattuale verso i grandi clienti capo-filiere, che devono verificare il rispetto degli obblighi da parte dei loro fornitori;
- opportunità di accedere a nuove supply chain italiane, europee e internazionali sostenibili.
Direttiva Csddd, la complessità della verifica lungo la filiera
La verifica degli impatti negativi, ai fini della loro eliminazione o diminuzione, comporta complessità e sfide importanti, soprattutto considerando l’articolazione delle supply chain globali. Da un punto di vista operativo, cosa deve fare una capo-filiera e, di riflesso e almeno in parte, una PMI che appartiene alla medesima filiera? Le principali attività sono almeno tre:
- modificare il suo sistema di Risk Management, prendendo in considerazione i rischi che impattano sui diritti umani e i diritti in materia ambientale come indicati nella Direttiva e specificati negli allegati 1 e 2 e, successivamente, nella tassonomia che la UE indicherà negli atti delegati;
- attribuire le priorità sia nell’individuazione dei rischi sia nella loro eliminazione o contenimento, a seconda della valutazione di impatto condotta nel rispetto dei criteri della Direttiva; e
- mappare le relative attività. Cosa significa mappare le attività di una impresa? Non è per nulla banale. Non si tratta di parlare di Business Unit, linee di prodotto, singolo prodotto. Potrebbe essere un mix di tutto, ma nelle attività possono essere ricomprese anche attività di servizio quali ad esempio la produzione di energia (molte imprese hanno i loro generatori di energia interni, hanno sistemi di logistica inbound e outbound diversi). La c.d. “granulometria” che guiderà la mappatura dovrà essere improntata a proporzionalità (come già indicato) e reale efficacia.
Quali sono i principali problemi che si potranno incontrare nell’effettuare tali attività lungo l’intera filiera?
- Incoerenza: ogni soggetto adotta criteri diversi, magari anche in conseguenza dell’utilizzo di consulenti e provider differenti;
- onere sproporzionato: le PMI rischiano di subire richieste eccessive anche se la Direttiva cerca di tutelarle da questo punto di vista; e
- bassa tracciabilità, dovuta a dati ambientali e sociali frammentati o non verificabili.
A fronte di tali problematiche, la direttiva Csddd richiede:
- Che siano applicati criteri uniformi e proporzionati lungo tutta la catena di fornitura o filiera;
- che vi sia omogeneità nelle valutazioni di rischio; e
- che siano implementati meccanismi collaborativi e digitali per la gestione dei dati (considerando 68 della Direttiva).
Cosa è una rete di impresa, e perché è ideale per la Csddd
La Direttiva impone un obbligo alle imprese capo-filiera di garantire il rispetto di una serie di requisiti legali che sono riferiti non solo alle medesime imprese capo-filiera, ma anche a tutte quelle attività che sono legate alla produzione dei beni e alla fornitura dei servizi che discendono dai rapporti commerciali a valle e a monte della catena di fornitura.
In sostanza, stiamo parlando di reti di filiera, ovvero le cosiddette reti verticali nelle quali un insieme di attori e le loro funzioni concorrono alla formazione di un prodotto o di un servizio in tutte le fasi fino alla fase finale che è quella della utilizzazione. Quindi dall’acquisto alla trasformazione delle materie prime, sino a tutte le fasi di lavorazione per arrivare, infine, all’attività di commercializzazione e anche all’attività e al servizio cosiddetto di postvendita.
Le reti di impresa applicate alle filiere possono assolvere efficacemente agli obblighi di mappatura, monitoraggio e pubblicità della Direttiva perché risolvono i tre principali problemi che pone la Direttiva:
- Il primo è sicuramente quello di affrontare la disponibilità di risorse per organizzarsi e far fronte alle richieste che la Direttiva impone.
- Il secondo è il fatto che in realtà per far fronte a questo tipo di esigenze è necessario avere un know-how estremamente vasto che nessuna o quasi delle PMI è in grado di mettere in campo.
- Il terzo è che occorre una standardizzazione e un’omogeneità di criteri e di verifica lungo tutta la filiera.
Il tema non sarà, quindi, quello di trovare soluzioni che risolvano il problema e le esigenze del singolo partner o del singolo operatore industriale. Perché in realtà questo diventerebbe un costo insostenibile, per le singole aziende e per la filiera nel suo complesso. La soluzione è necessariamente una soluzione che dovrà essere improntata a quello che è un criterio “olistico” che funziona per tutta la filiera o catena di valore.
Il considerando 52 della direttiva Csddd
D’altro canto, la stessa Direttiva, a partire dal considerando 52, indica proprio questa direzione ove auspica la partecipazione dei partner commerciali a iniziative che sono definite “iniziative di settore e multi-partecipative” per individuare, attenuare e prevenire gli impatti negativi. Il principio è poi ribadito all’articolo 20 dove sono elencate le misure di accompagnamento e, tra queste, sono per l’appunto ribadite le iniziative di settore e multi-partecipative. Per definizione letterale, queste sono iniziative cui partecipano più soggetti che si mettono insieme e si aggregano con una ben precisa finalità.
Contratto di rete italiano e Csddd
In Italia, già dal 2009, abbiamo a disposizione uno strumento molto utile che è il contratto di rete, nato per scopi differenti, ma che “calza” perfettamente con la Direttiva e sembra, a posteriori, essere ideato proprio per assolvere agli obblighi della Direttiva. In particolare, e per riferimento del lettore, il contratto di rete è disciplinato dall’art. 3, commi da 4-ter a 4-spties, del decreto Legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito con modificazioni in legge 9 aprile 2009, n. 33, (art. 3, commi 4 ter, 4 quater e 4 quinquies).
Il contratto di rete è un accordo con il quale più imprenditori si impegnano a collaborare al fine di “di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato”. Per raggiungere questo scopo, come previsto dalla normativa sui contratti di rete, le imprese si impegnano, sulla base di un programma comune di rete, a:
- collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese; e/o
- scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica; e/o
- esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.
Tramite il contratto di rete le imprese appartenenti a una filiera potranno perseguire lo scopo di coordinare le proprie attività per garantire il rispetto della Direttiva, l’omogeneità e la standardizzazione dei controlli e la suddivisione dei costi, ai fini di accrescere la propria competitività e capacità innovativa.
Funzionamento della rete di filiera ai sensi della CSDDD | ||
Fase | Attività | Output |
Costituzione | Redazione Contratto di Rete con scopo ESG | Definizione obblighi interni |
Mappatura | Identificazione rischi per ogni impresa | Scheda di rischio filiera |
Audit e monitoraggio | Verifiche periodiche con supporto digitale | Report di compliance |
L’utilizzo della blockchain per la filiera ai sensi della CSDDD
Tutto il flusso di dati e informazioni che si generano nell’adempimento della Direttiva deve essere organizzato tecnicamente. Cioè, su un livello tecnico diverso, materiale, rispetto a quello che può essere un contatto di rete.
Il considerando 68 della Direttiva prevede espressamente gli strumenti e tecnologie digitali e, in questo momento, la blockchain è sicuramente la tecnologia migliore perché è affidabile, conosciuta, resiliente e assolve a tutti gli obblighi della Direttiva.
La Direttiva non indica una specifica tecnologia o un determinato supporto digitale (il legislatore UE potrà farlo sulla base degli atti delegati che saranno posti in essere ai fini dell’implementazione della Direttiva), ma la blockchain appare ictu oculi come il sistema migliore di creare affidamento tramite scambio di informazioni tra soggetti che non si conoscono come i partecipanti alle lunghe filiere di fornitura internazionali. Qui abbiamo una massa enorme di informazioni che costituiscono l’obbligo di mezzi. Se queste informazioni sono messe in blockchain, per le caratteristiche della blockchain di trasparenza, verificabilità e immodificabilità, ecco che abbiamo anche sovrapposto al contratto di rete lo strumento blockchain.
La blockchain si “sposa” perfettamente con il contratto e le strutture della rete di imprese. Da un punto di vista più tecnico, la blockchain è un registro digitale distribuito e immutabile. Tre sono le tipologie principali, ai fini di questo articolo. Abbiamo blockchain
- pubbliche (es. Bitcoin, Ethereum): aperte a tutti, poco adatte a certi utilizzi aziendali;
- private: gestite da una singola entità per i propri fini; e
- consortili: accessibili solo ai membri autorizzati (ideali per filiere e reti).
Blockchain consortili e Csddd
Qualche elemento in più sulle blockchain consortili. Una blockchain consortile (a volte indicata come blockchain federata) può talvolta essere confusa con una blockchain privata, ma le due non sono identiche. Infatti, sia le blockchain private che quelle consortili richiedono la pre-autorizzazione di un utente per l’accesso, a differenza di una blockchain pubblica che permette a chiunque di iscriversi. Ogni utente pre-autorizzato all’interno di una rete consortile ha lo stesso controllo di quello successivo, anche se in determinate blockchain le autorizzazioni possono essere differenziate per categoria di partecipante. Ma a differenza delle blockchain private, le blockchain consortili non sono possedute e utilizzate da un unico gruppo o organizzazione.
Come per qualunque blockchain, quelle consortili richiedono un meccanismo di consenso che tutti i nodi possono utilizzare per verificare i dati. Tuttavia, le blockchain consortili possono garantire una bassa latenza, poiché il numero di utenti è inferiore e sono necessari meno nodi per il processo di consenso. Questo è uno dei maggiori vantaggi dell’utilizzo di una blockchain federata, oltre alla riservatezza e alla categorizzazione dei permessi per tipologia di soggetti partecipanti.
Vantaggi delle blockchain consortili
Le blockchain consortili sono, quindi, ideali in ambiti aziendali e la piattaforma Hyperledger, tra le altre, permette un’ampia modularità di strutturazione.
Perché usare una blockchain consortile:
- tracciabilità certificata di dati, documenti e attività afferenti agli aspetti ESG, alla mappatura dei rischi, all’individuazione degli impatti negativi e alle attività poste in essere per l’eliminazione o la riduzione di tali impatti negativi, nonché dell’impostazione delle priorità indicate dall’azienda e di tutto il relativo flusso di comunicazione;
- impossibilità di alterare i dati, documenti e informazioni e garanzia delle loro integrità;
- riduzione delle verifiche e dei controlli manuali;
- accesso controllato ai dati solo per soggetti autorizzati, es. revisori, regolatori, etc.;
- registrazione incontrovertibile di, ad esempio, certificati ambientali dei fornitori, audit etici sui subappaltatori, misure di riduzione CO₂ nei processi;
- creazione di evidenze di conformità immediate e accessibili; e
- automatizzazione e invio dei reporting tramite smart contract (script automatici di esecuzione).
I riferimenti della Direttiva che legittimano l’adozione della blockchain sono, li ribadiamo:
- considerando 68: tecnologie digitali fondamentali per raccogliere e gestire dati ESG;
- art. 17: conservazione documentale delle misure adottate; e
- art. 19(e): trasparenza verso stakeholders e autorità.
Gli obiettivi della direttiva Csddd
La Csddd non deve essere vissuta come un mero adempimento, ma come un’occasione per consolidare e rilanciare la competitività delle PMI italiane in Europa e nel mondo.
Per realizzare praticamente questo obiettivo, ambizioso e fondamentale, occorre organizzarsi subito attraverso:
Non è l’unica, ma è una strada ben tracciata per garantire la propria permanenza nelle catene globali di valore e trasformare gli obblighi ESG in vantaggi concreti competitivi e di business.
Tabella riepilogativa | ||
Strumenti | Vantaggi | Criticità risolvibili |
Contratto di rete | Coordinamento e riduzione costi. | Necessità di governance efficace |
Blockchain consortile | Sicurezza e tracciabilità dati | Costi tecnologici iniziali |
Rete + blockchain | Soluzione integrata, scalabile | Formazione e assistenza tecnica |
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