1 Giugno 2025
Il rischio per le fondazioni corporate nascosto nel ddl Ferragni


Dopo il clamore mediatico legato al “caso Ferragni”, il Parlamento ha ripreso i lavori per l’elaborazione di una norma ad hoc con l’obiettivo di tutelare i donatori/consumatori nell’ambito delle raccolte fondi. Il tema principale è garantire l’affidamento di chi dona, a fronte di campagne che mettono in vetrina “buone cause” senza le dovute garanzie in merito all’effettiva destinazione dei fondi raccolti. 

Questi gli obiettivi da cui prendono le mosse i lavori della Commissione attività produttive della Camera dove è in discussione un disegno di legge (AC 1704) che mira a rafforzare la trasparenza delle iniziative commerciali che prevedono di destinare parte del ricavato a scopi solidali. Due i punti chiave che emergono dalla lettura dello schema di disegno di legge: garantire ai consumatori informazioni precise sulla destinazione dei fondi e impedire che la fiducia pubblica venga tradita da operazioni ambigue o poco trasparenti. Questo specie quando sono coinvolti influencer o brand mediaticamente attrattivi per i consumatori. 

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Il caso che ha dato origine a tutto – la nota vendita dei pandori griffati Ferragni – ha mostrato quanto sia facile generare confusione tra finalità benefiche e strategie di marketing. In quel contesto, l’assenza di chiarezza ha portato a sanzioni per pratica commerciale scorretta. Da qui la spinta a “scrivere nuove regole”. Ma il tema vero è chiederci se ed in che misura servono davvero nuove regole e soprattutto per quali tipologie di enti occorre necessariamente creare strumenti di tutela senza appesantire o peggiorare l’azione di tutte quelle realtà che, in silenzio e senza clamore mediatico, svolgono attività di raccolta fondi custodendo gelosamente nel tempo la fiducia dei donatori guadagnata faticosamente sul campo. 

I punti chiave del disegno di legge 

Ma quali sono i contenuti del testo in discussione? Iniziamo con il dire che il disegno di legge prevede specifici  obblighi informativi sull’iniziativa in capo ad alcune categorie di soggetti, qualificati in termini generici come “produttori e professionisti”, che intendono lanciare campagne di raccolta fondi solidali associate alla vendita di beni. Le informazioni mirate a garantire maggiore trasparenza dovranno essere riportate nella confezione dei prodotti. Pensiamo, ad esempio, all’indicazione del beneficiario, delle finalità dell’iniziativa nonché dell’importo da devolversi a favore dell’ente beneficiario che dovrà essere espresso in percentuale o in cifra fissa. 

Accanto a ciò produttori e professionisti saranno tenuti a fornire all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – Agcom informazioni dettagliate sull’iniziativa e a comunicare l’effettivo versamento delle somme destinate alla finalità. La mancata osservanza di tali obblighi comporterà la comminazione di sanzioni pecuniarie che vanno dai 5mila e ai 50mila euro.

Deroga per gli enti di Terzo settore?

Non occorre certo sottolineare che quando si parla di raccolte fondi legate a iniziative commerciali, è fondamentale che le informazioni fornite al pubblico siano corrette e complete. La trasparenza è un valore da difendere, soprattutto se l’iniziativa fa leva sulla generosità dei donatori. Ma per farlo nel modo giusto, le regole devono essere pensate con equilibrio e soprattutto proporzionalità. Il rischio, altrimenti, è quello di creare un sistema troppo rigido che finisce per penalizzare anche chi opera già con serietà e dentro un quadro normativo ben definito come avviene, ad esempio, per gli enti del Terzo settore.

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Questi soggetti, infatti, sono già sottoposti a obblighi stringenti in materia di rendicontazione e trasparenza, secondo quanto previsto dal Codice del Terzo settore e dalle Linee guida ministeriali adottate nel 2022. La trasparenza, del resto, è una delle direttrici fondamentali della riforma che muove proprio dalla esigenza di costruire un registro pubblico – il Runts –  in grado di fornire tutte le informazioni fondamentali ad assicurare l’affidabilità e la credibilità degli enti che lavorano per l’interesse collettivo. 

Non a caso il disegno di legge prevede una clausola di salvaguardia che richiama l’articolo 7 del Codice del Terzo settore, relativo alla raccolta fondi, ma non esclude in modo esplicito gli enti iscritti al Runts dalla nuova normativa. Un aspetto critico, che richiede di rivedere la formulazione della norma, che come attualmente è scritta rischia di coinvolgere nella nuova disciplina anche soggetti che già operano nel rispetto di regole rigorose di trasparenza, con una duplicazione di obblighi che avranno come unico effetto quello di scoraggiare le raccolte fondi. 

La norma per come attualmente è scritta rischia di coinvolgere nella nuova disciplina anche soggetti che già operano nel rispetto di regole rigorose di trasparenza, con una duplicazione di obblighi che avranno come unico effetto quello di scoraggiare le raccolte fondi

Gabriele Sepio, segretario generale Terzjus

Il caso delle fondazione corporate

Nella stessa direttrice occorrerebbe muoversi con riferimento alle fondazioni “corporate” che assumono la veste di ente del Terzo settore. L’attuale testo di legge infatti esclude dall’ambito di applicazione dei nuovi adempimenti i soli enti non commerciali che non siano partecipati, direttamente o indirettamente, da produttori e professionisti. Dunque se a lanciare una campagna di raccolta fondi è un ente non commerciale non saranno applicate le nuove regole, salvo che non si tratti di realtà “partecipate o controllate” dai soggetti tenuti a rispettare i vincoli del nuovo decreto. La formulazione della norma andrebbe precisata escludendo, ad esempio, espressamente tutte quelle  fondazioni “corporate” dotate della qualifica di ets e costitute da operatori economici di mercato e che spesso recano con sé anche il brand dell’impresa. Il rischio è quello di creare una differenziazione nel Terzo settore che non avrebbe alcun senso. 

La formulazione della norma andrebbe precisata escludendo espressamente tutte quelle fondazioni “corporate” dotate della qualifica di ets e costitute da operatori economici di mercato. Il rischio è quello di creare una differenziazione nel Terzo settore che non avrebbe alcun senso

Gabriele Sepio, segretario generale Terzjus

Le audizioni promosse dalla Commissione Attività produttive della Camera sembrerebbero andare in questa direzione, anche in considerazione delle sollecitazioni ricevute che evidenziano la necessità di distinguere nel contesto non profit le diverse realtà a seconda che siano iscritte o meno nel Runts. Un aspetto fondamentale che evidenzia ancora una volta l’esigenza che il legislatore inizi ad acquisire una sensibilità sul tema, evitando ogni qualvolta emerga una vicenda mediatica in grado di coinvolgere la beneficenza in senso lato di inserire il non profit in un una unica categoria indifferenziata. 

I punti da chiarire e le possibili criticità del disegno di legge

Diversi gli aspetti che dovranno essere valutati attentamente al fine di evitare che la norma finisca da un lato per duplicare adempimenti colpendo soggetti già ampiamente dotati di regole di trasparenza e dall’altro per introdurre regole stringenti senza un criterio di proporzionalità, incidendo sulle realtà più piccole. 

Cosa significa produttori e professionisti?

Un primo elemento riguarda una definizione chiara di che cosa si debba intendere per “produttori” e “professionisti”. Il riferimento contenuto rischia di generare incertezze applicative. Pensiamo ad un ente non profit che è anche produttore del bene che viene immesso sul mercato per l’iniziativa. La mancanza di un chiaro perimetro “definitorio” potrebbe in questo caso includere l’ente tra i soggetti obbligati ai nuovi adempimenti di trasparenza rischiando però zone grigie che rendono difficile stabilire a chi spettano gli obblighi. 

L’etichetta e le sanzioni

Altro aspetto è legato alle informazioni benefiche inserite sull’etichetta del prodotto, attraverso una targhetta dedicata. Una misura che può sembrare semplice sulla carta, ma che – specie per iniziative temporanee o promosse da piccole realtà – comporta costi e difficoltà operative non indifferenti. Cambiare il packaging, anche solo temporaneamente, può rappresentare un ostacolo difficile da superare per le imprese più piccole o per le associazioni. Sotto questo punto di vista potrebbe essere preso in considerazione un principio di proporzionalità stabilendo limiti puntuali entro i quali è possibile semplicemente dare evidenza nei punti vendita delle condizioni e regole alla base della raccolta fondi.

L’attenzione va poi rivolta anche all’impiego delle risorse economiche derivanti dall’irrogazione delle sanzioni. Nonostante il disegno di legge preveda che una parte delle sanzioni sia destinata al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per iniziative solidaristiche, sarebbe forse più opportuno devolvere l’importo direttamente agli enti destinatari della raccolta fondi. Una scelta che sicuramente darebbe un segnale molto forte e che tutelerebbe nel concreto la fiducia che il donatore ripone nell’iniziativa benefica. 

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La differenza tra Ets e non profit in senso lato

Il fatto di obbligare chi organizza le raccolte a trasferire una serie di informazioni, quali il soggetto destinatario, le finalità e la quota percentuale del prezzo di vendita o gli importi destinati per ogni unità di prodotto, completandole con quelle legate al trasferimento di quanto raccolto è più che comprensibile. Manca, tuttavia, in questo disegno di legge un aspetto fondamentale legato al fatto che il consumatore/donatore ha bisogno anche di conoscere l’effettiva destinazione delle risorse da parte dell’ente beneficiario. Elementi questi che seppure garantiti dalla Riforma del Terzo settore e non sono cosi scontati per gli enti che non sono iscritti al Runts e per i quali diventa fondamentale individuare una modalità di comunicazione chiara ed efficace non solo con riguardo alle modalità di svolgimento della raccolta fondi ma anche di come effettivamente le somme raccolte vengano poi utilizzate.

In altre parole va benissimo prevedere una comunicazione dell’effettiva erogazione delle somme all’ente beneficiario, ma poi chi controlla che quelle somme siano effettivamente destinate al bene comune e magari non indirizzate a spese personali o deviate su altre finalità poco chiare? Se per un Ets o un ente pubblico questa destinazione è tracciata puntualmente, altrettanto non può essere garantito per tutti gli enti che si qualificano genericamente come non profit e che sono inseriti nel lungo elenco disegnato dallo schema di disegno di legge.

In foto, Chiara Ferragni ospite a “Oltre il silenzio”, iniziativa del Codacons contro la violenza sulle donne (foto Valentina Stefanelli / LaPresse)

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