
Diceva tanti anni fa un grande sindacalista che la vera missione di chi fa sindacato è servire “gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società, l’interesse dei nostri figliuoli. Quando la causa è così alta, merita di essere servita, anche a costo di enormi sacrifici”. Era Giuseppe Di Vittorio, che nel 1944, insieme a Bruno Buozzi, Achille Grandi e altri, rinnovò il movimento dei lavoratori.
Ripercorrere la storia di come da allora sia cambiato il mondo del lavoro e le posizioni di chi lo rappresenta, ci porterebbe troppo lontano, ma colpisce non poco rilevare oggi quanto distante sia la posizione di chi guida l’organizzazione di cui Di Vittorio fu il leader fino alla sua morte, la Cgil, da quel caposaldo sul quale lui costruì tutta la sua vita: rappresentare l’interesse generale e non una singola posizione politica. Un caposaldo così forte che lo portò nel 1956 a rompere l’uniformità del suo partito, il Pci, per difendere la libertà dei cittadini e dei lavoratori ungheresi durante l’invasione sovietica. “L’armata rossa che spara contro i lavoratori di un paese socialista! Questo è inaccettabile! Quelli sono regimi sanguinari! Una banda di assassini!”, disse infatti al giovane Antonio Giolitti, uno dei pochi che come lui si schierò contro l’ortodossia del partito.
Chi oggi guida la Cgil, invece, pur di ostacolare un governo considerato politicamente avversario, si è opposto al rinnovo del contratto nazionale delle funzioni centrali dello Stato, al costo di una grave rottura del fronte sindacale e sta ancora bloccando il confronto sul contratto dei lavoratori degli Enti locali e della Sanità. La ragione principale, da loro sempre sostenuta, è che l’aumento del 6% non copre la perdita del valore d’acquisto subita in un triennio di inflazione record (dovuta a cause esogene ed eccezionali come la pandemia da Covid e l’invasione russa dell’Ucraina). Peccato che gli stessi si dimentichino di aver approvato precedentemente contratti con aumenti di poco superiori al 3%, quando l’inflazione nel triennio aveva superato il 12%. La differenza è che allora c’era un governo amico e quindi, anche all’epoca, l’interesse politico superava quello generale, come volevasi dimostrare.
Al di là dell’insegnamento dimenticato del padre fondatore, l’ostinazione della Cgil e degli altri comprimari del fronte del No, rischia però d’innescare un processo molto grave che può mettere in discussione le ragioni stesse del fare sindacato. Se volessi volare alto potrei citare quella locuzione latina secondo cui quos vult Iupiter perdere, dementat prius, che si può tradurre in quando Giove vuol far cadere qualcuno, prima gli annebbia la mente, ma la verità è che la situazione più che alla grandezza degli antichi mi fa pensare a quel vecchio vecchio cartone animato di Topolino apprendista stregone. Mi spiego, ci troviamo in una situazione così paradossale che le parole di maggior buonsenso dal punto di vista dei lavoratori in questo momento non vengono da Cgil & friends ma dal principale esponente della controparte, ossia il ministro della Pubblica Amministrazione, Palo Zangrillo, che intervistato dal Messaggero, al margine del Festival dell’Economia di Trento, ha fatto notare che su 55 miliardi di euro delle ultime due manovre economiche, 20, cioè ben più di un terzo, sono state destinate agli aumenti del pubblico impego e oggettivamente era difficile fare di più.
Ebbene circa metà di quei soldi stanno già arrivando ai lavoratori per effetto del contratto delle Funzioni centrali già firmato, gli altri rimangono sospesi e questo significa che se non si chiuderà in fretta l’intesa l’anno passerà senza aumenti, bloccando quel meccanismo che è la grande novità del nuovo contratto, la continuità di percorso che prevede che mentre si godono i benefici del contratto, firmato nei tempi corretti, si lavori a quello successivo per il quale, peraltro, i fondi sono già stati stanziati (nell’intesa il percorso è garantito fino al 2030).
Non si tratta, però, dell’unico effetto perverso di questo niet ideologico. Come ha chiarito Zangrillo nell’intervista citata, il pericolo più grave è che i soldi stanziati spariscano dalle previsioni contabili. Ecco come lo spiega lo stesso Zangrillo: “Abbiamo stanziato risorse importanti per i contratti. Il ministro Giorgetti legittimamente, a un certo punto, mi chiederà se questi soldi che abbiamo stanziato servono oppure no, perché se effettivamente non riusciamo a distribuirli, abbiamo tanti altri progetti e tante altre esigenze, dalle pensioni, alle tasse per la classe media, da soddisfare. Potrebbe dirmi che rifinanzierà i contratti quando i sindacati saranno pronti. Non avrei argomenti per oppormi”.
Un ragionamento che, purtroppo non fa una piega e che potrebbe portare il ministero della Pubblica amministrazione, per non perdere gli stanziamenti, a sfruttare una possibilità remota ma prevista dalla legge: l’erogazione unilaterale degli aumenti in busta paga. Certo i lavoratori potrebbero finalmente incassare i soldi tanto attesi (ma solo quelli legati agli incrementi tabellari), per il movimento sindacale però sarebbe una sconfitta epocale. Non solo si perderebbero, infatti, voci accessorie rilevanti (come i circa 540 euro lordi mensili per chi lavora al pronto soccorso), ma sarebbe messo agli atti il pesantissimo precedente di un aumento contrattuale deciso unilateralmente dalla controparte senza alcuna mediazione sindacale. E questo, solo a dirlo, fa paura. Già perché ad essere spazzati via dal tavolo sarebbero tutte le altre questioni che danno senso e ragione d’essere all’attività sindacale, che non punta solo al miglioramento della condizione economica del lavoratore, ma comprende anche tutto ciò che può cambiare in meglio la sua stessa vita, dall’organizzazione del lavoro al welfare.
Sul tavolo del confronto per Enti locali e Sanità, infatti, ci sono anche questioni non secondarie come il patrocinio legale, l’assistenza psicologica, il ticket restaurant erogato anche durante lo smart working, ed ancora la valorizzazione dell’elevata qualificazione, l’organizzazione dei turni per il personale over 60 o la flessibilità per i nuclei monoparentali. E potrei andare ancora avanti. Si tratta, insomma, di tutto ciò che riguarda “gli interessi di tutti, gli interessi dell’intera società”, come avrebbe detto Di Vittorio. E voglio testardamente sperare che nel sindacato da lui fondato quelle parole per qualcuno abbiano ancora un peso.
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