3 Giugno 2025
Risarcimenti per licenziamenti illegittimi, il referendum che punta a rafforzare i diritti dei lavoratori

di Daniele Bovi 

Niente più tetto di sei mensilità per quanto riguarda gli indennizzi in caso di licenziamento illegittimo a favore dei dipendenti di piccole imprese. È essenzialmente questo il cuore del secondo dei cinque referendum per i quali gli elettori Umbria del resto d’Italia sono chiamati a votare l’8 e il 9 giugno. Dopo aver trattato quello relativo al contratto a tutele crescenti introdotto col Jobs Act, proseguono gli approfondimenti di Umbria24 sui cinque quesiti in vista del voto della prossima settimana.

Licenziamenti illegittimi Il secondo quesito (scheda arancione) è uno dei quattro con al centro il lavoro promossi dalla Cgil. In Italia la legge 604 del ‘66  prevede, per le imprese fino a 15 dipendenti, un indennizzo in caso di licenziamento illegittimo compreso tra 2,5 e 6 mensilità dell’ultima retribuzione. Per le imprese con più di 15 lavoratori, invece, lo stesso indennizzo base di 6 mensilità può essere aumentato fino a 10 mensilità (se il lavoratore ha più di 10 anni di anzianità) o 14 mensilità (se l’anzianità supera i 20 anni). 

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REFERENDUM 8 E 9 GIUGNO, COSA PREVEDONO I QUESITI

La proposta Con il referendum si propone di abrogare parzialmente proprio le parole che fissano il tetto di 6 mensilità. In estrema sintesi, se vincesse il «Sì» il limite massimo verrebbe eliminato e il giudice del lavoro potrebbe determinare l’indennizzo senza vincoli prestabiliti, valutando di volta in volta diversi fattori come l’anzianità, i carichi familiari, le capacità economiche dell’azienda e così via. 

Perché sì La Cgil e gli altri sostenitori del referendum spiegano che con l’abrogazione del tetto si rafforzerebbero le tutele di milioni di lavoratori, equiparandoli ai colleghi delle aziende più grandi. Questo spingerebbe peraltro anche i datori di lavoro a valutare con più attenzione i licenziamenti. Insomma, un referendum con il quale si punta a garantire l’equità di trattamento fra i lavoratori e somme più cospicue in caso di uscita da un’azienda.

Perché no Di tutt’altro avviso coloro che sostengono il «No» o l’astensione. In primis viene posto un problema di sostenibilità delle pmi: eliminare il limite di 6 mensilità – sostengono – potrebbe esporre le piccole imprese a indennizzi imprevedibili e molto elevati. Sul piatto della bilancia poi vengono messi l’aumento del contenzioso (e quindi le incertezze sul fronte legale) e una possibile diminuzione delle assunzioni.

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