
La proposta di rilanciare una webtax a favore dell’editoria e dell’informazione ha destato plauso e soddisfazione sia da parte datoriale che sindacale. Le parole del presidente di Confindustria Radiotv Antonio Marano hanno avuto il merito di rilanciare un dibattito che sembrava essersi un po’ smorzato su un tema decisivo e fondamentale per il futuro di un settore cruciale per la democrazia.
La Fieg, con il presidente Andrea Riffeser Monti, ha promosso la proposta di Marano e ha affermato la sua adesione all’idea: “Destinare al sostegno dell`editoria la gran parte dei 500 milioni che ogni anno lo Stato italiano incassa dalla Digital service tax è il minimo accettabile per ridurre la disparità di trattamento e lo svantaggio competitivo, nei confronti dei grandi operatori del web, delle imprese nazionali che producono informazione e contenuti editoriali di qualità”. Ma non è tutto: “I grandi operatori del web, come ha dichiarato qualche giorno fa a Trento il sottosegretario all`editoria Alberto Barachini, fanno gli editori, senza avere le stesse responsabilità, gli stessi oneri, le stesse tassazioni, gli stessi vincoli che hanno gli editori tradizionali. Non possiamo consentire che permanga questo stato di cose che minaccia la stessa esistenza dei mezzi di informazione che – come previsto dall`articolo 21 della nostra Costituzione – dovrebbero essere tutelati in quanto strumenti fondamentali per il pluralismo e la democrazia. Su questi temi – ha concluso il presidente della Fieg – nei prossimi giorni scriverò a tutti i parlamentari”.
Anche da parte Fnsi arriva il sì all’idea webtax: “La Federazione nazionale della Stampa italiana è d’accordo che la web tax dovrebbe essere in parte destinata all’editoria: il traffico e i profitti dei giganti del web vengono fatti proprio grazie ai contenuti giornalistici saccheggiati dalle piattaforme a scapito del fatturato degli editori tradizionali e della professionalità di migliaia di giornalisti”, ha detto Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi. Costante, però, torna a dire che occorre proprio da parte degli editori una presa di coscienza: “Se si vuole una nuova legge dell’editoria, che contenga elementi di ridistribuzione rispetto alle piattaforme online gli editori italiani non possono pensare ad un lavoro giornalistico senza tutele, a retribuzioni più simili a quelle di un barista dell’autogrill (con tutto il rispetto per chi fa quel mestiere) e a CoCoCo che, con compensi che sono sotto la soglia di povertà, rappresentano la nuova frontiera della schiavitù. Così come al tavolo per il rinnovo contrattuale, che manca dal 2014, con stipendi che hanno perso il 19,3% del potere di acquisto, non è pensabile chiudere a qualsiasi proposta sull’equo compenso degli over the top anche ai giornalisti e per limitazioni all’uso dell’intelligenza artificiale per evitare la sostituzione del giornalista in carne e ossa con i chatbot”.
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