5 Giugno 2025
L’intelligenza artificiale ruba il lavoro alla Gen Z: cosa c’è di vero


  • La generazione Z è la più esposta ai rischi derivanti dall’uso dell’intelligenza artificiale, dal momento che si tratta di giovani alla ricerca del primo impiego.
  • Ciò che bastava anni fa per entrare nel mondo del lavoro, ora è superfluo e non più ricercato dalle aziende che lasciano all’AI i compiti più ripetitivi e a basso rischio.
  • L’acquisizione di nuove competenze mirate è indispensabile per farsi strada, soprattutto per quanto riguarda i ruoli tech.

Oggi l’intelligenza artificiale sta pestando i piedi soprattutto ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro o lo faranno a breve. In particolare per la generazione Z, che comprende i nati tra il 1997 e il 2012: i più grandi oggi hanno 28 anni e i più giovani stanno per diplomarsi o comunque intraprendere il percorso di studio verso la maturità.

L’analisi della situazione è importante proprio per capire come devono muoversi questi giovani nel mondo del lavoro o quali sono le scelte cruciali da compiere, anche in vista di un’eventuale formazione accademica o comunque dell’acquisizione delle competenze più idonee. Sull’argomento, il parere degli esperti si divide e non mancano gli studi a sostegno dell’una o dell’altra tesi.

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L’intelligenza artificiale sul lavoro impatta sulla generazione Z

L’allarme arriva da più fonti, tra cui la voce di Aneesh Raman, dirigente di LinkedIn, che in un articolo sul New York Times ha evidenziato l’impatto certo che l’AI ha avuto sui più giovani, ancora studenti o comunque alla ricerca del primo lavoro.

L’aspetto critico riguarda proprio la diminuzione di posti disponibili per gli entry level, ovvero neo-diplomati o neo-laureati che hanno bisogno di una prima occasione lavorativa per iniziare a fare esperienza.

Ebbene, stando ai dati emersi da una ricerca condotta a cura di SignalFire, società di venture capital che monitora i movimenti dei dipendenti e delle aziende su LinkedIn, nel 2024 le aziende tech hanno assunto meno neo-laureati rispetto al 2023 (-25%) e i laureati assunti nelle startup sono diminuiti dell’11% rispetto all’anno precedente.

In sostanza, tutte quelle mansioni ripetitive e a basso rischio, che permettevano però a un giovane di entrare in azienda e imparare il mestiere, oggi sono sostituite dall’AI che produce ad alta velocità e costa meno. Ne sono un esempio gli assistenti alla clientela soppiantati da chatbox e strumenti automatizzati, gli sviluppatori junior rimpiazzati da assistenti di coding virtuali quanto efficienti e addirittura gli avvocati alle prime armi, che non possono più revisionare i documenti legali perché l’AI lo fa in pochi minuti.

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Il trend che si evidenzia vede le aziende ridurre fino a ⅔ le assunzioni di junior e prevedere stipendi più bassi, dal momento che il lavoro si alleggerisce, grazie all’uso dell’intelligenza artificiale.

In aumento invece la ricerca di profili più esperti che vedono aumentare del 27% le assunzioni nelle aziende tech, per quanto è lecito riflettere sul fatto che prima o poi queste figure esperte andranno ad esaurirsi, se nel contempo non ci sono giovani che iniziano “la gavetta”.

L’AI non entra in azienda per rubare il lavoro ma lo trasforma

Questa è la tesi dei sostenitori del no, che affermano che non è vero che l’intelligenza artificiale ruba il lavoro. D’altronde è lo stesso Raman che, pur lanciando l’allarme, evidenzia che ci sono aziende che assumono sì i giovani perché hanno bisogno delle loro idee creative e nuove purché in grado di utilizzare l’AI come supporto.

E come emerge da alcuni studi in ambito marketing o assistenza clienti, molti neo-assunti riescono a fare meglio e di più grazie all’aiuto di un chatbot.

A supporto di questa tesi, L’Economist ha studiato l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione giovanile negli Stati Uniti, in particolare per quei ruoli che appunto potrebbero essere più facilmente soppiantati dal suo utilizzo. Ebbene, non ha riscontrato un impatto negativo, per quanto c’è da dire che lì la disoccupazione giovanile si mantiene bassa, al 4%.

Ci sono altri studi che dimostrano che, nonostante il boom iniziale nell’uso dell’intelligenza artificiale, i risultati che ora si registrano non sono quelli sperati e comunque non ha impattato negativamente sui lavoratori che svolgono compiti importanti, né per quanto riguarda le ore lavorate né sullo stipendio.

Anzi, molte aziende, stando ai dati forniti da S&P Global, hanno fatto dietrofront tornando ad assumere persone, come nel caso di Klarna ad esempio. E a oggi la percentuale di aziende che abbandonano la maggior parte dei loro progetti pilota di IA generativa è salita al 42%, rispetto al 17% dello scorso anno. 

Nonostante la confusione e i pareri più disparati, ciò che appare evidente è che comunque l’AI fa parte della vita e del lavoro di tutti e non è possibile ignorarla, se non a proprio discapito.

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Intelligenza artificiale, il ruolo nel lavoro futuro

Insomma oggi sarebbe meglio avvicinarsi all’AI piuttosto che snobbarla. Sempre secondo LinkedIn, quel che è certo è che la generazione Z è la più pessimista, per quanto riguarda il proprio futuro, rispetto a qualsiasi altra fascia d’età.

Ciò a significare che comunque i giovani sanno che quel che bastava fino a qualche anno fa per entrare nel mondo del lavoro, ora è superfluo e non ricercato dalle aziende. Ecco allora che si trovano davanti a un bivio tra la strada vecchia e quella nuova, dove l’unica direzione possibile da intraprendere non è più quella che consigliavano le generazioni precedenti.

Gli studi Stem rappresentano un faro in questo momento e senza dubbio aiutano a gestire la situazione lavorativa che appare critica all’orizzonte. Al di là del percorso di studi intrapreso o da cominciare, l’AI è il plus da inserire nel curriculum, fino a diventare un prerequisito negli anni futuri.

Senza dimenticare tutte quelle esperienze (formative, di viaggio, sociali) che fanno la differenza sul posto di lavoro tra una persona e un robot, e che vanno a definire il bagaglio di metacompetenze (sofskill) dell’individuo, come senso critico, creatività, flessibilità, capacità relazionali. 

Dall’altro canto però, le aziende dovrebbero avere la consapevolezza, e la lungimiranza, di capire che continuare ad assumere risorse è indispensabile per creare la base da cui attingere per la classe dirigenziale. Questo rivedendo i ruoli di base ormai obsoleti e affidando la gestione di nuovi compiti, magari più complessi, ma certamente dall’innegabile valore aggiunto rispetto a quanto possibile con strumenti AI.



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