
L’industria fieristica italiana è la quarta a livello globale (dietro a Cina, Stati Uniti e Germania), con un fatturato annuo di 4 miliardi di euro e 17 mila addetti. Questa la fotografia scattata dal primo Libro bianco sul sistema fieristico italiano, realizzato da Aefi in collaborazione con Prometeia.
Da notare inoltre il legame tra le imprese e le fiere: il 30% della produzione e il 63% dell’export nazionale è generato dalle imprese attive in 5 filiere (agroalimentare, tecnologia, moda-bellezza, edilizia-arredo e tempo libero), principali focus delle attività del sistema fieristico. E queste 5 filiere sono cresciute del 9% a livello annuo dal 2021 al 2024, performance che ha permesso di risalire e superare i livelli pre-Covid. Adesso però, l’incognita dazi e le tensioni internazionali, rendono più complicate o comunque meno ottimistiche le previsioni: si stima un +2% annuo fino al 2030.
La domanda di export italiano supera l’offerta
Resta un troppo ampio gap tra export e domanda potenziale con l’effettiva capacità di soddisfarla da parte delle imprese tricolori, che negli ultimi 10 anni si è aggirato intorno al -13%. Si tratta di oltre 37 miliardi di euro di potenziale lasciato ad altri esportatori. Un gap che rischia, senza miglioramenti, di salire fino al 18% al 2030.
Ecco perché il sistema italiano delle fiere è presente in 12 dei 30 e più mercati target contemplati nel piano dell’export del ministero degli Esteri: il 90% delle manifestazioni italiane all’estero in calendario nel biennio 2024-25 si sono tenute (o si terranno) proprio in tali Paesi, dagli Usa al Brasile, dalla Cina agli Emirati Arabi Uniti, dal Messico al Sudafrica, alla Thailandia. (riproduzione riservata)
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