14 Giugno 2025
Corea del Sud: le priorità economiche per Lee 


Dopo esattamente sei mesi di incertezza politica e crescente tensione sociale, il 3 giugno la Corea del Sud ha finalmente chiuso la parentesi di crisi che si era aperta con la dichiarazione della legge marziale la sera dello scorso 3 dicembre. Con un voto che ha registrato il più alto tasso di affluenza ai seggi da 28 anni a questa parte, i cittadini sudcoreani hanno eletto il democratico Lee Jae-myung come nuovo presidente. A spoglio dei voti terminato, Lee si è imposto sul suo principale avversario Kim Moon-soo, candidato del partito conservatore, con un netto 49,42% dei consensi contro il 41,15%. Questo esito favorevole per il candidato del Partito democratico (PD) era stato ampiamente previsto dai sondaggi durante la campagna elettorale. A sorprendere, nonostante la sconfitta, è però la sostanziale tenuta del campo conservatore, che negli ultimi mesi è stato accusato di non aver preso sufficientemente le distanze dall’ex presidente Yoon dopo la sua decisione dello scorso dicembre.  

Lee si è immediatamente insediato nel suo nuovo incarico e, grazie alla maggioranza parlamentare assoluta detenuta dal PD nel parlamento, ha tra le mani delle clamorose opportunità: normalizzare il rapporto istituzionale tra presidenza e parlamento, che negli ultimi anni sotto Yoon è stato particolarmente teso; e aprire una stagione di riforme economiche e sociali di cui il Paese ha molto bisogno. Come invece verrà gestito il confronto con i conservatori, ora passati all’opposizione ma ancora piuttosto influenti, rimane un punto interrogativo rilevante, in particolar modo data l’enorme polarizzazione socio-politica che attraversa la Corea del Sud. 

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La trasformazione di Lee Jae-myung 

Il nuovo presidente ha subito una notevole trasformazione politica nel corso degli anni. Proveniente da una famiglia molto povera (e lui stesso impiegato come operaio in una fabbrica durante la propria adolescenza), Lee è poi diventato un avvocato per i diritti umani prima di entrare in politica. È stato sindaco di Seongnam e successivamente governatore della provincia di Gyeonggi, la più popolosa della Corea del Sud, dove per il suo sostegno al reddito di base universale si è guadagnato il soprannome di “Bernie Sanders sudcoreano”. Nel 2022, forte di questa reputazione da progressista convinto, si era presentato alle elezioni presidenziali, dove però era stato battuto da Yoon per meno di un punto percentuale. 

Da allora Lee si è affermato come il principale leader dell’opposizione di centro-sinistra al governo conservatore di Yoon, criticandone il malgoverno e osteggiandone le iniziative di legge attraverso la maggioranza in parlamento. Nel corso di questi ultimi anni però, e in particolare dopo l’imposizione della legge marziale, Lee si è lentamente riposizionato politicamente, spostandosi verso il centro e arrivando a definire il proprio partito come “centrista-conservatore”. 

È chiaro che, per una figura già così polarizzante come Lee, la decisione di riallineare la propria immagine politica sia stata in parte anche una tattica volta ad attrarre gli elettori moderati spaventati da Yoon e disillusi dai conservatori, soprattutto in vista di un ipotetico voto anticipato che avrebbe seguito l’impeachment di Yoon. Tuttavia, le manovre di riposizionamento compiute in questo senso sembrano indicare un cambio di rotta ben più profondo del semplice marketing politico. Ad esempio, sulla controversa questione del limite massimo di 52 ore lavorative settimanali, Lee è sembrato piuttosto bendisposto a revocare questo limite per i lavoratori impiegati nel settore economicamente strategico dei semiconduttori. Inoltre, nei mesi che hanno preceduto il voto, Lee ha intrattenuto diversi colloqui non solo coi rappresentanti delle associazioni imprenditoriali, ma anche coi dirigenti dei più importanti conglomerati industriali del Paese, come Samsung, chiedendo loro di prendere un ruolo guida nella crescita economica nazionale e smarcandosi piuttosto apertamente dalla tradizione politica del PD come partito a tutela degli interessi della classe lavoratrice. Ciononostante, Lee ha parlato anche di accorciare la settimana lavorativa, sottolineando come i lavoratori sudcoreani abbiano una media di ore annue lavorate molto alta e impegnandosi a portarla sotto la media OCSE entro il 2030.  

Le linee di politica economica del nuovo governo 

Mentre Lee inizia ad assembrare la propria squadra di governo più in fretta possibile, è già possibile trarre alcune indicazioni su quali possano essere le priorità del nuovo presidente sudcoreano. Durante la propria campagna elettorale Lee ha ripetuto più volte di voler realizzare una manovra straordinaria per stimolare la ripresa economica, del valore di circa $20 miliardi. Definendola una misura “pragmatica” per sostenere la classe media e lavoratrice e le piccole imprese, Lee ha rivendicato la necessità di aumentare la spesa pubblica nel breve termine per rimettere in moto lo sviluppo delle aziende e parallelamente anche la crescita dei salari.  

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La prima preoccupazione del nuovo presidente sembra essere proprio la realizzazione di questa manovra straordinaria: durante il suo discorso di inaugurazione, infatti, Lee ha fatto riferimento alla distribuzione di buoni spesa alle famiglie per sostenere i consumi e le economie locali in modo efficiente e rapido. Il primo atto da nuovo presidente è stato poi ordinare la creazione di una task force speciale per fronteggiare le proiezioni di crescita economica sempre più pessimiste, da cui si è prontamente fatto informare sui possibili margini di spesa nell’immediato per poi chiedere di presentare quanto prima una bozza di budget straordinario da poter approvare in tempi rapidi. 

Per la strategia di crescita a lungo termine bisognerà aspettare invece che la squadra di governo democratica venga completata. Alcuni segnali sono emersi nel corso della campagna elettorale. Lee, infatti, ha espresso supporto per settori chiave, o in forte crescita, dell’economia sudcoreana come l’industria dell’intrattenimento, l’industria della difesa, la produzione di semiconduttori e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA). Questi ultimi due in particolare sono degni d’attenzione, dato il ruolo preminente della Corea del Sud nel panorama tecnologico internazionale. Per quanto riguarda la produzione di microchip, Lee ha proposto di introdurre un credito d’imposta del 10% in modo tale da rilanciare la competitività sudcoreana a fronte delle numerose iniziative occidentali di politica industriale in questo campo. Per quanto riguarda invece l’IA, Lee ha promesso di adottare una regolamentazione più accomodante e soprattutto di mobilitare circa $70 miliardi di investimenti pubblici e privati, con l’obiettivo di sviluppare un’IA che possa fungere da “ChatGPT sudcoreana”. Cruciale sarà in questo senso l’espansione dei fondi per la ricerca, un’altra delle proposte della sua campagna elettorale. 

Un altro punto centrale nel programma politico di Lee è la rivalutazione delle società quotate in borsa a Seul. Da tempo è stato notato che i titoli azionari sudcoreani soffrano del cosiddetto “Korea discount”, cioè che siano sotto-prezzati rispetto ad aziende analoghe in altri Stati. Una delle cause di questa condizione è certamente la struttura societaria delle aziende sudcoreane quotate in borsa, le più importanti delle quali sono sotto il controllo delle principali famiglie imprenditoriali del Paese. Per rilanciare le quotazioni, come promesso in campagna elettorale ai 14 milioni di cittadini sudcoreani che possiedono un portafoglio azionario, Lee intende emendare la legislazione vigente per rinforzare i diritti degli azionisti di minoranza. Si tratta di un altro dei temi toccati da Lee nel corso del suo discorso inaugurale, che però potrebbe richiedere un’attenta dose di lavorio sia dal punto di vista della strategia politica, per non antagonizzare le associazioni imprenditoriali, sia da quello della politica economica, per contenere il prezzo degli asset immobiliari e reindirizzare gli investimenti privati verso il mercato finanziario. 

Il nodo della politica estera 

Alle sfide di politica interna si aggiungono infine quelle di politica estera, a cominciare dai dazi statunitensi introdotti dal presidente Donald Trump che danneggiano pesantemente le esportazioni sudcoreane. Automobili in primis, che da sole rappresentano il 10% dell’export sudcoreano. Durante una visita dello scorso febbraio a un impianto di Hyundai, Lee ha infatti espresso sostegno per i produttori di auto colpiti dai dazi. “Gli Stati Uniti stanno spingendo eccessivamente per proteggere le proprie industrie”, aveva detto, aggiungendo poi che il governo sudcoreano avrebbe dovuto ingegnarsi per proteggere le proprie

Tuttavia, da allora Lee è rimasto piuttosto vago su quale approccio adotterà per negoziare con Trump. Durante la campagna elettorale ha enfatizzato la necessità di una diplomazia pragmatica nel confronto con l’alleato, senza però specificare molti dettagli. La scorsa settimana Lee e Trump hanno avuto il loro primo scambio telefonico in cui hanno concordato sull’esigenza di concludere quanto prima un accordo commerciale che possa scongiurare il ripristino totale dei dazi “reciproci”, sospesi per ora fino a inizio luglio.  

Lee da questo punto di vista parte da una situazione di svantaggio nel negoziato. Per la Corea del Sud gli Stati Uniti sono infatti sia un fondamentale mercato di destinazione per il proprio export e per i propri investimenti sia soprattutto il garante della propria sicurezza nella penisola contro un possibile attacco del Nord. Mantenere un buon rapporto con Trump sarà dunque imprescindibile per Lee: ciò però potrebbe costare alcune concessioni sul fronte economico non trascurabili come, ad esempio, aumentare l’import di energia statunitense. Bilanciare la pressione esterna con le esigenze di rilancio economico sarà infatti la più grande sfida per il nuovo presidente sudcoreano, che a pochi giorni dall’inaugurazione è già chiamato a compiere decisioni difficili per il futuro del Paese. 



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