
Nel presente contributo sono state riepilogate sia la posizione finora assunta dalla giurisprudenza di merito sia la posizione espressa dalla dottrina che si è interrogata sulla possibilità che il finanziamento infragruppo concesso da una società controllata a beneficio della propria controllante possa essere astrattamente riqualificato, da parte dell’Amministrazione finanziaria, in termini di una dissimulata distribuzione di dividendi. L’assenza di pronunce della Corte di Cassazione sul tema dimostra che la questione oggetto di approfondimento con il presente contributo sia alquanto acerba e che, allo stato attuale, non è ancora possibile trarre una conclusione definitiva e certa sulla tematica. Parimenti, la presenza di pronunce di merito, che fanno seguito alle contestazioni elevate da parte dell’Agenzia delle entrate, confermano che la tematica non può essere affatto sottaciuta, essendo di estrema attualità.
La disciplina civilistica dei gruppi di imprese è stata completamente ridisegnata dal D.Lgs. 6/2023 il quale ha sostituito integralmente il Capo IX, Titolo V, Libro V, cod. civ., rubricato “Direzione e coordinamento di società” (cfr. articoli da 2497 a 2497-septies, cod. civ.). La forma di aggregazione di imprese che porta al controllo avviene attraverso l’“acquisizione”, in senso lato, da parte di una società (controllante), di partecipazione qualificate o della totalità del capitale sociale di un’altra società (controllata). Diverse sono le motivazioni per cui una società può astrattamente decidere di “acquisire” partecipazione al capitale di un’altra società: a titolo meramente esemplificativo, una siffatta operazione può essere dettata dall’esigenza di una ripartizione delle diverse sfere di attività (finanziaria, operativa, etc.) all’interno dello stesso settore oppure dall’intenzione di penetrare nuovi mercati. Ovviamente, il Legislatore, nel tempo, si è premurato di inserire, in campo sia civilistico sia fiscale, norme di diversa natura (imperative, sanzionatorie, presuntive, etc.) volte a evitare utilizzi abusivi o fraudolenti dello strumento del controllo societario (si pensi, ad esempio, al fenomeno delle c.d. “scatole cinesi”).
In proposito, in ambito civilistico, le categorie da tutelare in situazioni di controllo sono, da un lato i creditori (e, più generale, i terzi), dall’altro i soci di minoranza. A tutela della prima categoria, ad esempio, sono state introdotte norme come l’articolo 2467, cod. civ. ove è prevista la postergazione dei crediti derivanti dal finanziamento di soci a favore delle società, rispetto agli altri crediti. Parimenti, in relazione ai soci di minoranza, sono previste norme diverse a tutela dell’effettività della partecipazione assembleare, della trasparenza delle decisioni degli amministratori e della responsabilità di quest’ultimi. Dal punto di vista tributario, invece, sussiste ovviamente l’interesse a ottenere un’imposizione fiscale congrua alle reali capacità contributive dei soggetti economici presenti sul territorio nazionale. A tutela di questo interesse è imperniata pressoché tutta la disciplina dell’accertamento; si pensi a titolo esemplificativo all’articolo 10-bis, L. 212/2000 (che sostituisce la previgente disposizione di cui all’articolo 37-bis, D.P.R. 600/1973 il quale, tra l’altro, prescriveva la necessità di valide ragioni economiche per opporre determinate operazioni all’Amministrazione finanziaria).
I c.d. “finanziamenti ascendenti”
I finanziamenti operati da società controllanti a beneficio di società controllate (c.d. “discendenti“) costituiscono prassi consolidata nell’attività dei gruppi societari. Meno pacifica è la qualificazione (e, in parte, la stessa visibilità) dei finanziamenti effettuati da una società “eterodiretta” alla società controllante (cosiddetti “ascendenti”). La dottrina prevalente ritiene che l’articolo 2467, cod. civ. (richiamato dall’articolo 2497-quinquies, cod. civ. con riguardo ai gruppi di imprese), avesse in mente soltanto i finanziamenti discendenti e che, pertanto, ove anche si ammettesse nell’ordinamento italiano la legittimità dei secondi, questi non dovrebbero essere assoggettati alla postergazione prevista dagli articoli citati. Altro problema (di carattere preliminare) è individuare, caso per caso, quando i finanziamenti discendenti possono costituire “finanziamenti anomali”: a tal fine occorrerà di volta in volta verificare se l’operazione è conforme alle regole che disciplinano la gestione dell’attività di impresa e, soprattutto, alla normativa fiscale antielusiva.
Il finanziamento può essere qualificato come “anomalo” da parte dell’Amministrazione finanziaria ogniqualvolta non sia possibile individuare, ad esempio, una ragione giustificatrice (precipuamente quelle espressamente previste, in ambito civilistico all’articolo 2467, cod. civ.) o, al contrario, si individua il tentativo di ottenere un indebito vantaggio di imposta.
Limitarsi all’utilizzo di un singolo negozio fiscalmente meno oneroso di un altro dovrebbe giustificare, ex se, l’eventuale risparmio di imposta così ottenuto, tenuto conto della tutela della libertà economica privata sancita anche dall’articolo 10-bis, comma 4, Statuto dei diritti del contribuente; ciononostante, sovente l’Amministrazione finanziaria, in simili fattispecie, richiede la dimostrazione delle valide ragioni extra fiscali che hanno condotto a preferire un’operazione (meno onerosa dal punto di vista tributario) piuttosto che un’altra (più onerosa dal punto di vista tributario), affinché possa essere considerato legittimo l’eventuale risparmio d’imposta così ottenuto.
Al fine di dimostrare la liceità del proprio operato, al contribuente occorre spesso superare i confini degli istituti civilistici (della loro causa negoziale) ed essere in grado di ricostruire, di fronte all’ufficio, la vera ratio delle operazioni poste in essere. Una tappa fondamentale a riguardo va individuata nella nota sentenza n. 293 U.S. 465 (1935) della Corte Suprema degli Stati Uniti, dove vengono sancite le dottrine del “substance over form” e del “business purpose”.
Dal concetto di “business purpose” discende direttamente quello già menzionato della prevalenza della sostanza sulla forma (“substance over form”), il quale prevede che, al fine di determinare il regime fiscale di un’operazione deve aversi riguardo non al negozio giuridico formalmente utilizzato (“form”), bensì agli effetti (“substance”) che con esso si intendono realmente conseguire. La decisione citata ha sancito ciò che, attraverso un lungo percorso, è stato posto alla base (anche) della disciplina antielusiva interna di cui al previgente articolo 37-bis, D.P.R. 600/1973, oggi articolo 10-bis, L. 212/2000.
La posizione della giurisprudenza di merito
In merito al tema oggetto del presente contributo, ossia il tema dei finanziamenti infragruppo erogati da una società controllata a beneficio della propria controllante (a quanto consta, ipotesi che si verifica non di rado), si ritiene utile ripercorrere nel dettaglio le motivazioni fornite dalla giurisprudenza di merito intervenuta.
CTP di Milano n. 85/XVI/2012
La vicenda oggetto del contenzioso trae origine da un pvc redatto dall’Agenzia delle entrate a seguito di verifica fiscale condotta nei confronti della società Alfa, società interamente partecipata dalla ricorrente e successivamente incorporata alla prima. L’avviso di accertamento emesso successivamente recepiva integralmente il contenuto del pvc. In particolare, dalle risultanze dell’avviso di accertamento e secondo la ricostruzione dell’ufficio, la società ricorrente avrebbe ricevuto dalla controllata un finanziamento “anomalo” dal punto di vista civilistico, contabile e fiscale. Dal punto di vista civilistico, l’ufficio riteneva che il suddetto finanziamento di 6.000.000 di euro fosse stato erogato per scopi non chiaramente individuabili e in assenza di specifiche delibere degli organi amministrativi della società. Sotto il profilo contabile, l’Agenzia delle entrate contestava il fatto che la società controllata “Alfa”, erogatrice del finanziamento, avesse classificato lo stesso tra i crediti a breve benché non restituito dalla controllante entro 12 mesi. Sotto il profilo fiscale invece, veniva contestato dall’ufficio il fatto che l’operazione di finanziamento non era prevista nell’ambito dell’attività d’impresa della mutuante “Alfa”. A parere dell’ufficio: “… tale operazione di finanziamento sarebbe infatti stata posta in essere in sostituzione della distribuzione di dividendi, operazione che sarebbe stata assoggettata, in capo alla ricorrente, a regime fiscale previsto dall’articolo 89 del Tuir (tassazione Ires sul 5% dell’ammontare complessivo dei dividendi percepiti). Inoltre, veniva contestato nell’accertamento de quo, il fatto che il finanziamento soci in oggetto fosse stato erogato senza previsione di un corrispettivo (i.e. interessi)”.
A seguito di tale asserita “anomalia” del finanziamento erogato e soprattutto a causa della mancata previsione di restituzione, l’ufficio procedeva a riqualificare tale finanziamento infragruppo alla stregua di una sopravvenienza attiva in capo alla controllante (ricorrente), ai sensi dell’articolo 88, Tuir, per l’importo di 6.000.000 di euro con conseguente recupero a tassazione della maggiore Ires, irrogazione delle sanzioni e richiesta di pagamento degli interessi asseritamente maturati a quella data.
Con il proprio ricorso la società ricorrente, controllante della società Alfa che aveva erogato il finanziamento, si costituiva contestando integralmente l’atto impugnato. Nel merito, la ricorrente ribadiva la correttezza dell’operazione di finanziamento posta in essere. Spiegava, infatti, che vi erano lettere commerciali aventi data certa con le quali la società Alfa informava la controllante circa l’accredito del finanziamento effettuato a titolo di finanziamento infruttifero soci. Alla luce di tutte le considerazioni rassegnate nel ricorso, la ricorrente chiedeva, pertanto, l’accoglimento del proprio ricorso e l’annullamento dell’atto impugnato. Il collegio giudicante rigetta il ricorso affermando che “dall’esame dei finanziamenti, concessi da “Alfa” alla controllante, sono emerse, in maniera inequivocabile, incongruenze e rilevanti anomalie sull’intera operazione. Risulta che il finanziamento concesso si basava esclusivamente sulle lettere commerciali ordinarie. In tali documenti veniva segnalato l’accreditamento da parte della controllata, a beneficio della controllante, di somme “quale finanziamento infruttifero soci”. Come ben si vede si è in presenza di “finanziamento al socio” e non di “finanziamento dal socio”. A ben vedere vi è una differenza sostanziale fra l’uno e l’altro caso. A nulla servono le motivazioni che giustificano il fatto dell’erogazione effettuate e rientrano nell’ottimizzazione della gestione economica e finanziarie di coordinamento gestionale del gruppo. Altro punto, che evidenzia il collegio giudicante, sta nel fatto che la ricorrente non ha giustificato per tabula l’utilizzo di tale finanziamento. Ritiene questo giudice che per definizione di “finanziamento” si deve intendere quel complesso di operazioni poste in essere dall’impresa con il fine di reperire risorse finanziarie necessarie l’esercizio della propria attività, con obbligo di rimborso del quantum ha avuto da parte del debitore, oltre gli interessi, con obbligo di stabilire sin dall’inizio il termine di restituzione, che può essere a scadenza fissa o rinnovabile. In buona sostanza, dal punto di vista civilistico, l’operazione di finanziamento posta in essere da “Alfa”, nei confronti della ricorrente controllante, presenta diverse anomalie ed incongruenze, tutte derivanti dal fatto che tale operazione risulta anomala, anche per il fatto che la società erogatrice del finanziamento non abbia preteso alcun “corrispettivo” dalla propria controllante quale beneficiare del finanziamento stesso. Dal quadro sopra delineato, unitamente alla circostanza che la somma di 6 milioni di euro non è mai stata restituita, secondo il collegio giudicante, l’Ufficio ha correttamente ravvisato i presupposti per determinare in capo ad “Alfa” una sopravvenienza attiva pari a 6.000.000,00 milioni di euro ai sensi dell’articolo 88 del Tuir. Dipinta così la rappresentazione dei fatti societari, ritiene questo giudice che i motivi di doglianze esposti nel ricorso e nella memoria di parte non reggano. L’operato dell’Ufficio, così come svolto, non può che essere confermato tout court, tenuto conto fra le altre cose che non è stata prodotta la documentazione cartacea di un piano di rientro di tale finanziamento, che lo stesso contratto era privo di un tasso di interesse, non ultimo di un verbale di assemblea ordinaria, attestante le motivazioni di richiesta, nonché la scelta di indebitamento nei confronti della società controllata. Tutti questi aspetti, di capillare importanza, sono stati sottaciute dalla ricorrente, la cui omissione convalida appieno titolo l’operato dell’Amministrazione finanziaria”.
CTR della Lombardia n. 129/ 2012
La pronuncia suindicata[1] è stata oggetto di impugnazione da parte della società e la CTR della Lombardia con la sentenza n. 129 del 12 settembre 2012, in riforma della sentenza di I grado, ha accolto l’appello proposto dalla medesima società, tra l’altro, per le seguenti argomentazioni: “… non sono condivisibili le motivazioni dei giudici di prime cure in ordine alla qualificazione dell’operazione relativa al mancato pagamento da controllante a controllata della somma di euro 6.000.000,00 alla luce dell’articolo 88 Tuir, quale sopravvenienza attiva poiché il suddetto articolo 88, comma 4 non considera sopravvenienze attive tassabili la rinuncia dei soci ai crediti “non si considerano sopravvenienze attive i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto o in conto capitale alle società e agli enti di cui all’articolo 72, comma 7, lettere a) e b), da propri soci”. Peraltro, a far tempo dal 1.1.2007, la società “(Omissis)” e la controllata “(Omissis)” si fondono nella società “(Omissis)” con unico socio. Ciò comporta, l’estinzione di tutte le partite creditorie e debitorie intercorrenti tra le indicate società. Sul terzo motivo di appello, la motivazione dei giudici di prime cure risulta priva di pregio facendo dipendere la validità dell’erogazione di un finanziamento infragruppo da delibere specifiche degli organi delle due società, la controllante e la controllata. (…) La preoccupazione formalistica dei giudici di prime cure non ha consentito di esaminare l’economicità complessiva del finanziamento erogato dalla controllata alla controllante, cosicché si è escluso che le erogazioni rientrino nella ottimizzazione della gestione economica finanziaria del “(Omissis)”. Peraltro, su tale punto della sentenza appellata, si rileva carenza di motivazione. Nel 2004 la “(Omissis)”, avendo ottenuto licenze edilizie ed urbanistiche, ha ritenuto di richiedere un mutuo ipotecario di euro 9.000.000,00 per finanziare le proprie attività in considerazione del minor tasso di interesse operato da (Omissis) (3,39%) rispetto a quello praticato da (Omissis) a “(Omissis)” (4,10%), per cui la “(Omissis)” per estinguere il finanziamento (Omissis) (7.11.2005) ha attinto alla liquidità di “(Omissis)”. Ne consegue che i versamenti dalla partecipata alla partecipante nell’esercizio 2004, pari ad euro 6.226.000,00, sono stati effettuati ottenendo una riduzione dell’incidenza degli oneri finanziari per entrambe le società. Di qui il vantaggio economico dell’operazione”.
CTP di Milano n. 81/2022
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento emesso dalla DRE della Lombardia, ufficio grandi contribuenti, nei confronti di una società alla quale veniva contestata l’indebita deduzione del capitale investito proprio (Ace) in applicazione dell’articolo 10-bis, L. 212/2000, accertando un maggior reddito imponibile e conseguente maggiore pretesa sia a titolo di imposta sia di sanzioni. In sede di ricorso la società eccepiva l’illegittimità dell’avviso di accertamento e ne chiedeva per l’effetto l’annullamento. In proposito, da quanto si desume dal testo della sentenza, l’atto impositivo trae origine dal pvc emesso dalla G. di F. e dal successivo pvc dell’ufficio grandi contribuenti dai quali è emersa sostanzialmente la presenza – secondo l’assunto dei verificatori – di un’operazione di finanziamento posta in essere nei confronti della controllante indiretta, che si configurerebbe quale operazione abusiva ai fini dell’articolo 10-bis, L. 212/2000. Nei periodi di imposta dal 2013 al 2016, la società “Alfa” Spa ha usufruito dell’agevolazione Ace (aiuto alla crescita economica) deducendo, ai fini della determinazione del reddito imponibile Ires, il rendimento nozionale derivante dall’incremento del capitale proprio conseguente all’accantonamento, a riserva, degli utili realizzati nel corso degli esercizi. Per quanto di interesse in questa sede e con specifico riferimento a quest’ultimo aspetto, si evidenzia che i verificatori hanno analizzato le modalità di calcolo dell’agevolazione Ace da parte della società. In particolare, durante le operazioni di verifica è stato appurato che nel corso del 2012 la controllata erogava alla propria controllante indiretta un finanziamento di 120.000.000 di euro. Per l’effetto, l’importo complessivo del credito verso la controllante a seguito delle successive integrazioni e modifiche contrattuali, ammontava a complessivi 575.000.000 di euro di cui euro 7.000.000 di euro a titolo di interessi maturati e capitalizzati. Esaminato quanto sopra riportato, l’ufficio ha ritenuto che l’operazione sia stata realizzata dalla società nell’ambito di una pianificazione fiscale finalizzata al conseguimento del beneficio previsto dalla disciplina Ace, derivante dall’accantonamento a riserva degli utili realizzati nonostante il contestuale trasferimento della liquidità alla controllante francese per il tramite della suddetta operazione di finanziamento.
Al fine di usufruire dell’agevolazione Ace, infatti, per l’ufficio, “la società ha formalmente rappresentato un’operazione di finanziamento alla controllante indiretta, che in realtà cela una sostanziale operazione di distribuzione di dividendi”[2]. L’operazione rappresentata (erogazione del finanziamento) non ha un valore aggiunto apprezzabile rispetto all’operazione alternativa di distribuzione del dividendo, la quale sarebbe stata coerente, altresì, con il comportamento adottato dalla stessa società prima dell’introduzione dell’agevolazione. Nel caso di specie, il vantaggio fiscale indebito è stato rappresentato quale differenza tra il risparmio di imposta realizzato dalla società a seguito della deduzione dal reddito complessivo del rendimento nozionale, spettante in base alla disciplina Ace, e gli interessi attivi sul finanziamento contabilizzati e assoggettati a tassazione.
Nello specifico, il rendimento nozionale è stato rideterminato riducendo la base Ace di un importo pari al finanziamento erogato alla società controllante francese, comprensivo dei successivi incrementi, che, sulla base di quanto sopra illustrato, rappresentano (a detta dell’ufficio) nella sostanza una distribuzione di utili. L’indebito vantaggio fiscale di cui ha beneficiato la società verificata, per il periodo di imposta 2015, è stato determinato sottraendo dal minor rendimento Ace l’effetto fiscale derivante dall’operazione (asseritamente) abusiva posta in essere, rappresentato dalla tassazione degli interessi attivi maturati sul finanziamento: rendimento Ace 20.000.000 di euro circa; interessi attivi 2.000.000 di euro circa e vantaggio fiscale asseritamente indebito 18.000.000 di euro circa. In conclusione, il vantaggio fiscale, per l’ufficio, era presentato dalla minore Ires versata nel periodo d’imposta per l’effetto della deduzione dal reddito complessivo del rendimento Ace, al netto dell’interessi attivi contabilizzati sul finanziamento. Ebbene, tenuto conto di quanto sopra, l’ufficio con l’avviso di accertamento, ha disconosciuto la deduzione Ace per complessivi 20.000.000 di euro circa ai sensi dell’articolo 10-bis, L. 212/2000.
La società con tempestivo ricorso impugnava l’atto in contestazione ed evidenziava, tra l’altro, l’illegittimità dell’atto notificato per inesistenza di un asserito vantaggio fiscale indebito, oltre che per l’inesistenza del presupposto di “operazioni prive di sostanza economica”, nonché per altre motivazioni che in linea di massima possono essere ricollegate a queste ultime argomentazioni principali.
Il collegio ha accolto il ricorso della società, tra l’altro, con le seguenti argomentazioni: “nonostante l’Ufficio sostenga il contrario, a giudizio di questo Collegio, la condotta della società non risulta in aperto contrasto con la finalità della norma fiscale che ha introdotto l’agevolazione Ace (…) Ebbene, se non si viola la ratio di una norma, pertanto, non si può sostenere che vi sia stato “abuso” da parte della contribuente nell’applicare tale norma. Nel caso del quo, il collegio giudicante non ravvisa alcun vantaggio fruito da (…) in contrasto con la norma introdotta da istituto dell’Ace (…) È evidente che la società non ha violato la ratio della norma e quindi manca il presupposto dell’applicazione dell’articolo 10 bis della legge sopracitata e, pertanto, nessuna contestazione in tema di “abuso di diritto” può essere avanzata”.
La posizione della dottrina
In considerazione della particolare e spinosa tematica astrattamente configurabile in caso di finanziamento infragruppo erogato da una società controllata alla controllante, si ritiene utile riepilogare anche le considerazioni della dottrina rinvenuta a commento delle suindicate sentenze.
In proposito, a commento della sentenza della CTP di Milano n. 85/XVI/2012, in dottrina[3] è stato osservato che “è legittimo l’operato dell’ufficio che ravvisi i presupposti per riqualificare l’operazione come sopravvenienza attiva imponibile ai fini Ires nel caso in cui un finanziamento presenti evidenti anomalie come, ad esempio, la mancanza di una giustificazione o di un rimborso a scadenza.
L’Autore prosegue affermando[4] che “… nella sentenza, i giudici partono dalla definizione di finanziamento come quel complesso di operazioni poste in essere dall’impresa con il fine di reperire le risorse necessarie con l’obbligo di restituzione del capitale, oltre interessi, una scadenza che può essere fissa o rinnovabile. “Nel caso in esame è un primo profilo di anomalia del finanziamento in esame, sempre ad avviso dei giudici, deriva dal fatto che l’operazione (che, sulla base dei documenti, era stata qualificata come finanziamento infruttifero soci) doveva in realtà essere qualificata come un finanziamento al socio (ovvero alla società controllante) e non un finanziamento dal socio. L’altra anomalia è stata ricondotta al fatto che la società che aveva erogato il finanziamento non avesse preteso alcun corrispettivo dalla controllante, in qualità di beneficiaria”.
Conclude sostenendo che “la pronuncia ha evidenziato che, sebbene finanziamento fosse stato classificato in bilancio come un credito a breve termine, l’importo finanziato non era mai stato di fatto restituito, neanche parzialmente. Inoltre, secondo i giudici, la legittimità dell’operato dell’ufficio, che ha rilevato una sopravvenienza imponibile in considerazione della sopravvenuta insussistenza di una passività iscritta in bilancio, risulterebbe confermata da altri elementi: la mancata produzione in giudizio della documentazione cartacea relativa a un piano di rientro di tale finanziamento (dal fatto che lo stesso contratto fosse privo di un tasso di interesse); i verbali dell’assemblea ordinaria attestante le motivazioni della richiesta del finanziamento; la scelta di indebitamento nei confronti della società controllata”.
In maniera condivisibile, autorevole dottrina[5] ha affermato che: “Spesso accade che l’apparato concettuale di cui il fisco si avvale per dimostrare irragionevoli abusi non vada oltre stereotipi divagazioni sul diritto civile – anomalie del finanziamento effettuato dalla controllata alla controllante o la mancata previsione di un termine per la restituzione dello stesso – o citazioni e parafrasi normative circa il concetto di elusione per ripiegare, in mancanza di più solide argomentazioni, su comode “corti fumogene“ formalmente ed apparentemente pertinenti al tema della contestazione, ma prive di un filo conduttore (…) Così il finanziamento effettuato dalla società controllata la propria controllante diventa “anomalo“ sotto il profilo civilistico, contabile e fiscale e diviene il mezzo per aggirare un’altra operazione, quella elusa, che le parti avrebbero dovuto porre in essere: il trasferimento titolo definitivo di proprie risorse da parte della società controllata al proprio socio il quale, arricchendosene, le avrebbe tassate (restituzione di capitale o dividendi, ma comunque se fossero stati dividendi sarebbero stati tassati al 5%, mentre la restituzione di capitale sarebbe stata imponibile, sempre nella medesima misura ridotto, per la differenza rispetto al costo dell’investimento in capo al beneficiario)”.
Di fronte a siffatta contestazione è da apprezzare innanzitutto lo sforzo dei giudici di II grado rispetto alla sentenza dei giudici di prime cure, i quali avvertono evidentemente l’assurdità del rilievo, ma seguono una tendenza diffusa nella giurisprudenza, utilizzando tutti gli argomenti possibili, anche quelli non pertinenti per rafforzare la decisione. Ovvia e corretta la constatazione secondo cui con il prestito non si era conseguito alcun vantaggio fiscale indebito, nessun aggiramento di norme imperative.
Sempre con riferimento alla riportata sentenza della CTR della Lombardia n. 129/II/2012 altra autorevole dottrina[6] ha precisato che “Il prestito infragruppo concesso dalla controllata alla controllante per estinguere un finanziamento bancario non può mai essere riqualificato né come distribuzione di dividendi in capo alla controllata, né come sopravvenienza attiva in capo alla controllante laddove sia dimostrato il risparmio ottenuto in termini di oneri finanziari di gruppo. E quanto emerge dalla sentenza 129/2/12 della CTR Lombardia”[7].
La vicenda al centro della controversia riguarda un avviso di accertamento emesso a carico di una società controllante fondato su un pvc con il quale era stata contestata l’anomalia civilistica e fiscale di un finanziamento concesso dalla controllata a beneficio della propria controllante. In particolare, si riteneva che tale finanziamento nascondesse la distribuzione di dividendi che, avrebbero dovuto comportare il concorso alla formazione del reddito nella misura del 5% del relativo ammontare, ai sensi dell’articolo 89, Tuir. A parere dell’ufficio, tale circostanza comportava, in capo alla controllante, addirittura il conseguimento di una sopravvenienza attiva da assoggettare integralmente a tassazione ai sensi dell’articolo 88, Tuir. Ciò in quanto il finanziamento non veniva restituito ma impiegato per estinguere un finanziamento bancario acceso dalla controllante. La società controllante ha impugnato l’avviso di accertamento sotto più profili. Il giudice di I grado hanno rigettato il ricorso confermando l’avviso di accertamento. Mentre il collegio d’appello ha ribaltato l’esito del giudizio accogliendo le ragioni della società.
Osserva in proposito autorevole dottrina[8] che:
- “Il giudice della regionale ritengono innanzitutto che sia erronea la qualificazione della rinuncia a un credito come sopravvenienza attiva tassabile. E, precisa la CTR, l’articolo 88, comma quattro, del Tuir non considera solvenza attive “i versamenti in denaro o in natura fatti a fondo perduto in conto capitale” infragruppo. Peraltro – aggiunge il collegio – le due società si sono successivamente fuse “senza aumento di capitale senza conguagli in denaro possedendo l’incorporante l’intero capitale sociale dell’incorporata;
- “La natura di finanziamento non può essere disconosciuta sulla mera base formalistica dell’assenza di delibere adottate dalle società, peraltro nemmeno necessarie. Occorre guardare la sostanza delle relazioni infragruppo al fine di comprendere se le operazioni poste in essere sono dirette alla “ottimizzazione della gestione economico finanziaria del gruppo”[9].
La CTR ritiene evidente l’interesse economico emergente dall’utilizzo della liquidità della controllata per estinguere il debito contratto dalla controllante. La controllata, società attiva nel settore dell’edilizia, aveva ottenuto un mutuo ipotecario a condizioni più vantaggiose in termini di tasso di interesse rispetto al finanziamento bancario acceso in precedenza dalla controllante. Di conseguenza è sorretta da valide ragioni economiche la scelta di impiegare parte della liquidità rinveniente dal finanziamento più vantaggioso per estinguere l’altro finanziamento[10].
La sentenza riconosce l’unitarietà gestionale economica che caratterizza i gruppi di imprese. La scelta del modello imprenditoriale di gruppo è generalmente dovuta ai vantaggi che ne conseguono in termini di flessibilità strutturale e di riduzione del capitale di rischio.
Alla luce di tutto quanto sopra esposto, è evidente, a parere dello scrivente che la CTR non si sia limitata a statuire che l’operazione dovesse essere considerata economicamente valida, ma ha puntualmente provveduto a individuare altresì gli effettivi vantaggi conseguiti dal gruppo societario, in primis, il risparmio su oneri finanziari sostenuti dalla controllante, che non può che aver complessivamente migliorato la situazione economica del gruppo stesso.
Per completezza di esposizione si rappresenta altresì che, a commento della suindicata sentenza della CTP di Milano n. 81/2022, altra dottrina[11] ha osservato che: “Non costituisce abuso di diritto, nell’ambito della disciplina Ace, l’erogazione di un finanziamento alla propria controllante indiretta il luogo della distribuzione di dividendi, che secondo l’ufficio rappresenterebbe l’operazione “sostanziale” sottostante a quella formalmente conclusa. A dirlo è la Ctp Milano 81/5/2022, non ravvisando nel comportamento della società accertata la sussistenza del vantaggio fiscale in debito”.
A parere dello scrivente, è lapalissiano che non è possibile escludere astrattamente dei possibili profili di abuso del diritto, in materia di imposte sui redditi, di un’operazione di finanziamento concesso da una società controllata a beneficio della propria controllante, con particolare riguardo alla possibile riqualificazione di tale operazione, ai sensi dell’articolo 10-bis, L. 212/2000 in termini di dissimulata distribuzione di dividendi. Parimenti, l’assenza di pronunce della Corte di Cassazione sul tema dimostra che la questione affrontata è ancora acerba sebbene la presenza di contestazioni da parte dell’Agenzia delle entrate confermino che la tematica non può essere sottaciuta: non resterà che monitorare il tema e verificare come evolverà la questione.
[1] Cfr. CTP di Milano n. 85/XVI/2012.
[2] Cfr. CTP di Milano n. 81/ 2022.
[3] Cfr. D. Settembre, “Stop al finanziamento anomalo” in Il Sole 24 Ore del 19 marzo 2012, pag. 41.
[4] Cfr. D. Settembre, “Stop al finanziamento anomalo” op. cit..
[5] Cfr. A. Paceri e R. Lupi “Ancora sui debiti infragruppo, fusione debitorie-creditorie e fantomatiche “sopravvenienze attive” in Dialoghi Tributari, n. 2 del 1° marzo 2013.
[6] Cfr. A. Tomassini, “Il prestito non nasconde i dividendi” in Il Sole 24 Ore del 21 gennaio 2013.
[7] Cfr. A. Tomassini, “Il prestito non nasconde i dividendi” op. cit..
[8] Cfr. A. Tomassini, “Il prestito non nasconde i dividendi” op. cit..
[9] Cfr. A. Tomassini, “Il prestito non nasconde i dividendi” op. cit..
[10] Cfr. A. Tomassini, “Il prestito non nasconde i dividendi” op. cit..
[11] Cfr. F. Dominici e G. Gavelli, “Prestiti anziché dividendi alla controllante indiretta” in Il Sole 24 Ore del 28 marzo 2022.
Si segnala che l’articolo è tratto da “La rivista delle operazioni straordinarie”.
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