23 Giugno 2025
Vimar da Marostica accende il mondo: made in Italy e innovazione per crescere (con 200 brevetti)


di
Francesca Gambarini

Occhi puntati sul Middle East per l’azienda di Marostica che festeggia 80 anni. Navale e contract crescono. Gli investimenti in ricerca (9% dei ricavi) e supply chain corta. Sfida alla Cina: «Produciamo tutto qui», dicono gli imprenditori Viaro e Gusi. Lo sviluppo nella domotica

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«Siamo una grande famiglia». A Gualtiero Viaro e Camillo Gusi, cugini alla guida di Vimar, basta una frase per rispondere a una domanda piuttosto complessa. Come si arriva a 80 anni di storia restando un’azienda fieramente made in Italy che sfida ogni giorno un mercato altrettanto complesso come quello della produzione di materiale elettrico per impianti e per la domotica?
Siamo a Marostica, dalle grandi finestre della sala del consiglio di Vimar spuntano il verde intenso delle colline, le mura e le torri medioevali del castello. Viaro e Gusi, rispettivamente presidente e ad, e ad del gruppo che qui venne fondato il primo maggio 1945 dai loro padri, oggi sono al timone di un’azienda da 317 milioni di fatturato e oltre 100 milioni di Ebidta, 1.300 dipendenti e nove filiali commerciali all’estero. Gli stabilimenti sono quattro e sorgono tutti nello spazio di un kilometro in linea d’aria, a Marostica. Una grande famiglia, appunto. A partire dal nome: Vimar nasce dalle iniziali di Viaro e Marostica. Duecento i brevetti depositati, frutto anche della ricerca e sviluppo per la quale l’azienda investe ogni anno il 9% circa dei ricavi. Un’innovazione costante che ha accompagnato prima l’elettrificazione del Paese e ora l’evoluzione degli impianti elettrici con un focus tanto sul design quanto su sostenibilità e sistemi smart.

La geografia

«Prima della guerra le nostre famiglie producevano cappelli di paglia: a Marostica c’era uno dei centri specializzati più importanti in Italia — tornano indietro nel tempo gli imprenditori —. Dopo il 1945 c’era bisogno di tutto e approfittando di un contatto con dei produttori di bachelite, cominciarono a fabbricare i portalampade, gli spinotti per i ferri da stiro...». Fu così che vide la luce anche il primo interruttore Piave, nel 1951: impianto a incasso in un’epoca in cui gli impianti elettrici erano ancora esterni alle pareti degli edifici. «Mio padre e mio zio hanno imparato a fare tutto in casa e hanno fatto crescere l’azienda — dice Viaro —. Io sono entrato nel 1969, mio cugino già nel 1978. Ci stavamo espandendo in Italia e all’estero, a cominciare dal bacino del Mediterraneo e soprattutto in Grecia, dove aprimmo nel 1962. All’inizio avevamo anche una produzione, poi chiusa. Oggi siamo leader per gli impianti nell’hotellerie».
I prodotti Vimar —15 mila articoli per oltre un miliardo e 300 milioni di componenti l’anno — arrivano in cento Paesi ma sono realizzati al 90% in Italia e all’80% a Marostica, anche grazie a un’integrazione verticale dei processi e della filiera che permette di avere un controllo di ogni dettaglio, dal design del prodotto alla logistica, e di tenere sotto controllo i costi grazie a una supply chain molto corta e automatizzata. «Per sviluppare bene una nuova serie civile ci vogliono anche cinque anni. Noi produciamo all’interno anche le macchine di assemblaggio, dagli anni Sessanta», dice Gusi.
Ovviamente non basta. Spiega Viaro: «Oggi abbiamo anche un laboratorio di ricerca e sviluppo nei pressi dell’università di Padova: in questo modo possiamo attrarre i talenti, soprattutto ingegneri elettronici. Una volta eravamo elettrotecnici e il passaggio, alla fine degli anni Novanta, è stata un’impresa molto impegnativa. Ora ci sono più di 170 progettisti e una quota importante sono ingegneri elettronici». Sempre sul fronte dei collaboratori, gli imprenditori fanno notare che la maggior parte dei dipendenti Vimar, che hanno un’età media intorno ai 40 anni, con un’alta presenza di donne, viene dal territorio. «In azienda ci sono alcuni nipoti dei primi dipendenti dell’azienda — spiega Viaro —. Il senso di appartenenza è molto forte e noi ne siamo orgogliosi, il nostro impegno per la comunità è presente e vivo, dal welfare aziendale allo sport».





















































La governance

Famiglia per Vimar vuole anche dire governance. L’aziendaappartiene appunto alle famiglie Viaro e Gusi per il 90%, il restante 10% è in mano alla multinazionale svizzera Abb. È già al lavoro la terza generazione con tre nipoti mentre «mio figlio sta facendo diverse esperienze prima di approdare qui, secondo i patti parasociali che abbiamo stabilito», spiega Viaro. Governance familiare dunque, che non sembra destinata a cambiare. «Sappiamo di essere un’opportunità di investimento per i fondi — interviene Gusi — ma noi proseguiamo sulla nostra strada, che è quella di una crescita graduale dei ricavi e strategie a medio-lungo termine. Certo la fine dell’ecobonus ha avuto qualche impatto ma anche quest’anno prevediamo un aumento di fatturato nell’ordine di qualche punto percentuale». 
I vertici confermano che la crescita resta nei piani dell’azienda. «Servirebbe un’acquisizione, magari all’estero, dove oggi realizziamo il 20% dei ricavi. Per entrare in un Paese non basta il prodotto, è necessaria la forza del distributore. Ma non è facile trovare un candidato ideale, ne abbiamo già valutati alcuni». Finora, negli 80 anni di storia di Vimar l’unica acquisizione è stata quella dell’italiana Elvox, azienda di videocitofonia, nel 2012. «Mentalità simili e business complementari — sintetizza Viaro —. Ci sta dando molta soddisfazione. All’estero abbiamo gli occhi puntati sul Medio Oriente e sull’Arabia soprattutto. E stanno andando bene il settore navale e il contract».

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L’estero

A proposito di estero, Vimar è anche tra le firme del padiglione Italia all’Expo di Osaka, mentre l’osservata speciale resta la Cina. «È un elemento di disturbo, troviamo copie made in China dei prodotti in tutto il mondo e ora sta entrando anche nella videocitofonia in Italia — spiega Gusi —. Speriamo che la situazione non peggiori con Taiwan perché una turbolenza nel mercato dei chip sarebbe un problema».
Eppure, ostacoli di questo tipo Vimar li ha già superati, con il classico pragmatismo all’italiana. «Nel 2022 con la crisi dei chip abbiamo riprogettato alcune schede elettroniche con i componenti che avevamo a disposizione», ricorda Viaro. Un esempio di saper fare che sposa l’emergenza. «È una responsabilità ma anche un privilegio guidare Vimar — concludono i due capi azienda —. Seguiamo lo sviluppo di un nuovo prodotto in tutte le sue fasi, perché la passione è quella che guida noi e tanti imprenditori italiani come noi. È il segreto del made in Italy: l’amore per i dettagli e la condivisione di ogni momento, bello e brutto, della vita dell’azienda».

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