25 Giugno 2025
AI, serve uno shock per accelerarne l’adozione nelle imprese italiane




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La scorsa settimana la Commissione europea ha pubblicato il report annuale che registra i progressi degli Stati membri verso il conseguimento degli obiettivi al 2030 del Decennio digitale, la strategia Ue per accelerare la transizione tecnologica del vecchio continente.

Il governo e in particolare il dipartimento per la Trasformazione digitale, guidato dal sottosegretario Alessio Butti, hanno giustamente celebrato i passi avanti importanti registrati nella connettività e nei servizi pubblici digitali. Certamente si tratta di sforzi importanti, peraltro legati direttamente alle politiche del governo.

Italia ancora in ritardo rispetto ai partner europei

Continua però a preoccupare l’andamento di altri indicatori, sui quali l’azione dell’esecutivo è di sicuro più complessa e agisce attraverso strumenti indiretti. Pensiamo alle competenze digitali, sia di base che specialistiche, sulle quali continuiamo a registrare forti ritardi rispetto all’Europa (anche se a onor del vero l’ultimo dato su quelle di base risale al 2023, dunque di fatto all’inizio dell’attuale legislatura).

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O al numero di unicorni (9), troppo basso rispetto alle dimensioni e all’ambizione che deve avere un Paese come l’Italia. Ma c’è un dato che stride ancora di più, quello relativo all’adozione dell’AI nelle imprese, pari nel 2024 all’8,2%. Considerato che l’obiettivo da raggiungere entro il 2030 è il 60% questo vuol dire che siamo all’11% circa della sua realizzazione. Una distanza siderale, in gran parte attribuibile al ritardo delle piccole e medie imprese (pmi), che si traduce in mancate opportunità per il sistema Paese.

Lo studio di I-Com e TeamSystem

Uno studio I-Com realizzato insieme a TeamSystem e pubblicato nei giorni scorsi ha stimato in 1.300 miliardi di euro la crescita di fatturato complessiva delle aziende italiane sopra i dieci dipendenti qualora fosse raggiunto l’obiettivo europeo. In media questo significherebbe un raddoppio dell’aumento dei ricavi fatto registrare negli scorsi cinque anni. Un boost importantissimo al nostro sistema produttivo che andrebbe peraltro a sommarsi agli altri benefici portati dalla digitalizzazione e misurati nell’analisi econometrica condotta da un’altra variabile.

Peccato che i ritardi nell’adozione dell’AI non nascano dal nulla ma si colleghino alle altre debolezze strutturali della digitalizzazione all’italiana. Sempre nello stesso studio è stata condotta insieme a Piccola Industria di Confindustria una survey delle aziende di dimensioni minori, dalla quale emerge in maniera chiarissima un evidente gap di informazione e competenze come limite principale all’adozione dell’AI.

I risultati della ricerca

Basti pensare che tra chi già la usa (e dunque ha passato quantomeno la prima barriera) ben il 67,4% ha indicato nelle competenze l’ostacolo principale da superare, seguito a grande distanza dalla resistenza al cambiamento (34,8%). Non si tratta peraltro di un’obiezione generica ma di una lettura che parte da un’autovalutazione: i partecipanti all’indagine ritengano a maggioranza che le competenze necessarie all’interno della propria impresa siano infatti scarse (54,1%). Addirittura, il 7,4% le definisce molto scarse o nulle.

Solo il 36,3% dei partecipanti al questionario ha dichiarato che nella propria organizzazione vi è un buon livello di competenza e appena il 2,2% che queste siano molto buone. Non si tratta di un problema facilmente risolvibile, visto che solo il 12,4% delle imprese intervistate ha già messo in campo attività di formazione.

Non sorprende dunque che il 69,3% delle aziende chieda incentivi fiscali e il 67,9% programmi di formazione e aggiornamento professionale finanziati dal governo. Sarà certamente questione sulla quale sarà più difficile guadagnarsi allori e pubblici riconoscimenti ma da questo snodo passa lo shock digitale che oltre a farci rispettare gli obiettivi europei potrebbe spingere all’insù la produttività e la competitività dell’Italia e delle sue imprese, a cominciare dalle pmi. (riproduzione riservata)

*presidente Istituto per

la Competitività (I-Com)

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