29 Giugno 2025
Nuovo Giornale Nazionale – LE DUE ITALIA, QUELLA BASATA SUL SOSTEGNO PUBBLICO E QUELLA DELL’IMPRESA


Due Italie: Monte Paschi risorge, Fiat affonda. Quando il denaro pubblico premia chi cambia davvero
“Il denaro è un buon servo, ma un cattivo padrone.” — Francis Bacon
Ci sono momenti in cui due storie apparentemente lontane raccontano lo stesso Paese. Da un lato Monte dei Paschi di Siena, la più antica banca del mondo, reduce da un disastro ventennale, torna utile, solida, protagonista. Dall’altro, Fiat, per un secolo simbolo dell’industria italiana, si svuota di senso industriale e strategico, pur continuando a ricevere aiuti statali. Entrambe hanno avuto accesso a fondi pubblici, ma hanno seguito due strade opposte: una si è trasformata, l’altra si è adagiata.
E nel confronto emergono anche le scelte di altri Paesi: chi ha imposto condizioni vere in cambio degli aiuti ha rilanciato interi settori, mentre chi ha favorito i propri “campioni nazionali” senza chiedere riforme ha generato aziende fragili, spesso zombie.
Monte Paschi: caduta politica, rinascita manageriale
Il caso MPS è una parabola perfetta. Una banca che nel 1999 era tra le più solide d’Europa, con capitale, reputazione e storia. Tra il 1999 e il 2008, compie tre acquisizioni disastrose: Banca 121, Credito Agrario Bresciano e Banca Antonveneta, bruciando oltre 20 miliardi di euro. La peggiore, Antonveneta, fu acquistata per 9 miliardi senza due diligence, in contanti, da Santander, che l’aveva appena comprata per 6 miliardi e la rivendette con un guadagno record.
Tutto ciò avvenne in un contesto politico chiarissimo. La banca era dominata dalla Fondazione MPS, a sua volta controllata da logiche di partito, in particolare dal centrosinistra toscano e nazionale. Molti leader dei DS, furono sostenitori del “modello Siena”, dove finanza e potere locale si confondevano. MPS divenne una banca usata per garantire consenso politico, non efficienza.
Il crollo arrivò nel 2012, con le indagini, le perdite e il tracollo borsistico. Lo Stato fu costretto a intervenire nel 2017, con 5,4 miliardi di euro per evitarne il fallimento. Sembrava la fine.
Ma dal 2020, con Luigi Lovaglio, MPS cambia volto: taglia i costi, ripulisce il bilancio, rientra sul mercato. Oggi ha CET1 superiore al 15%, oltre 1 miliardo di utili, e ha ottenuto l’ok della BCE per scalare Mediobanca. Da simbolo del disastro, a soggetto attivo del rilancio. 
Fiat: 10 miliardi di aiuti pubblici, zero riforme
Se MPS è un caso di riscatto, Fiat è il contrario: un’azienda che ha beneficiato per decenni di sostegno pubblico, senza mai cambiare davvero.
Dal 1980 a oggi, Fiat ha ricevuto oltre 10 miliardi di euro tra incentivi, sussidi, fondi di ricerca, sgravi fiscali e cassa integrazione. Ha chiuso stabilimenti, esternalizzato produzioni, ridotto modelli. Oggi, dentro Stellantis, è un marchio marginale, non strategico.
La 500 elettrica, costruita in Italia, costa troppo ed è fuori scala per il mercato di massa. La nuova Panda sarà prodotta in Serbia. E mentre l’Italia stanzia fondi per la mobilità elettrica, Fiat perde quote di mercato a vantaggio di marchi asiatici e di Dacia.
Il gruppo Stellantis guarda al profitto globale, ma l’Italia non ha ottenuto in cambio né occupazione né innovazione né competitività industriale. Eppure, il flusso di aiuti continua.
Ferrovie dello Stato: un gigante in trasformazione
Un altro caso chiave è quello delle Ferrovie dello Stato (FS), l’azienda pubblica italiana che gestisce la maggior parte delle infrastrutture e del trasporto ferroviario.
Negli ultimi 20 anni, FS ha ricevuto sostanziosi finanziamenti pubblici per ammodernare linee, acquistare treni ad alta velocità e migliorare i servizi. Tuttavia, mentre alcune trasformazioni sono state efficaci – come lo sviluppo di Trenitalia e il successo dell’alta velocità – persistono inefficienze nella gestione, nel costo del personale e nelle linee meno redditizie.
Il gruppo è oggi impegnato in una grande trasformazione verso la sostenibilità e la digitalizzazione, ma il percorso è ancora in corso e non mancano critiche su sprechi e gestione poco efficiente.
Il confronto internazionale: chi ha fatto meglio
L’Italia non è sola in questo. Altri Paesi hanno gestito crisi simili con esiti molto diversi.
Germania: il caso Commerzbank e Opel
Commerzbank, seconda banca tedesca, fu salvata nel 2009 con 18 miliardi di euro di fondi pubblici. In cambio, Berlino ottenne:


  • tagli drastici alla governance

  • Assistenza per i sovraindebitati

    Saldo e stralcio

     


  • controllo pubblico del 25%


  • divieto di dividendi fino a ritorno all’utile

Risultato: Commerzbank è tornata in utile stabile nel 2016, ha ridotto la struttura e restituito parte degli aiuti.
Opel, invece, fu rifiutata: nel 2009 chiese aiuti al governo Merkel. La risposta fu no, perché il piano non prevedeva riforme credibili. Opel fu costretta a cambiare strategia per sopravvivere. E ci riuscì: oggi è parte del gruppo Stellantis, ma dopo una profonda trasformazione, non con assistenzialismo.
Stati Uniti: General Motors
Nel 2009 il Tesoro USA salvò GM con 49,5 miliardi di dollari. Ma in cambio:


  • azzerò il board


  • fece entrare lo Stato come azionista temporaneo


  • pretese chiusura di fabbriche inefficienti


  • impose un nuovo modello industriale

In tre anni GM tornò in Borsa, restituì la maggior parte dei fondi, e fu trasformata in azienda snella e competitiva. Oggi è una delle prime aziende al mondo nell’auto elettrica.
Conclusione: il coraggio di legare soldi a riforme
Il denaro pubblico non è mai neutrale. Può essere leva di trasformazione o copertura del fallimento. Monte Paschi ha dimostrato che con coraggio, si può rinascere. Fiat, invece, resta il simbolo di un Paese che premia la sopravvivenza più della trasformazione.
La lezione arriva anche dall’estero: i governi che hanno legato gli aiuti a cambiamenti strutturali hanno ottenuto risultati duraturi. Chi ha elargito fondi per proteggere vecchi equilibri, ha solo rimandato il declino.
In Italia, oltre a questi casi emblematici, ci sono altri esempi tristemente noti: Alitalia, oggi ITA Airways, e le Ferrovie dello Stato. Entrambi hanno ricevuto nel tempo miliardi di euro di soldi pubblici, tra prestiti, garanzie e finanziamenti diretti, senza però risolvere pienamente i problemi di sostenibilità e competitività. Nel caso di ITA Airways, si contano una serie infinita di salvataggi che hanno prodotto solo sprechi e fallimenti continui; per FS, la trasformazione è in corso ma rallentata da inefficienze.
L’Italia deve decidere da che parte stare. Perché tra banche salvate che rilanciano, industrie aiutate che si spengono e compagnie “zombie” o aziende pubbliche inefficienti, il futuro non è scritto, ma il conto, come sempre, lo paga il contribuente.

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