
Il caldo estremo sarà finito quando gli accordi territoriali avranno recepito il protocollo-quadro sulla protezione dei lavoratori firmato l’altro ieri dal governo con le parti sociali. La beffa si spiega con una ragione molto semplice: negli ultimi dodici mesi il governo si è dimenticato che in estate fa caldo, salvo poi scoprirlo nei giorni in cui l’afa è esplosa e sono arrivate le prime notizie dei morti sul lavoro causati dalla calura opprimente. Il caldo non è una notizia. Lo è la mancanza di una legge che regoli il caos nei cantieri, in varie regioni, quello che è stato denunciato dai sindacati.
A MODENA la Fillea Cgil ha denunciato cinque cantieri che hanno violato l’ordinanza anti-caldo della regione Emilia Romagna. Come altrove, anche qui sarebbe vietato lavorare tra le 12,30 e le 16 fino al prossimo 15 settembre nei campi e nei cantieri edili, nella logistica e nei vivai. Il sindacato ha chiesto alle amministrazioni una deroga che permetta di lavorare prima delle otto del mattino e di riorganizzare le attività nelle altre ore più fresche.
NELL’AGRO PONTINO, in provincia di Latina, ci sono 10.800 aziende perlopiù piccole e difficili da controllare. «I controlli sono pochi in un territorio così grande – conferma Islam Kotb, segretario della Fai Cisl di Latina – Servirebbe una task force ad hoc, tavoli permanenti nelle prefetture con le Asl, l’Inail, l’Ispettorato del lavoro e le parti sociali. Malgrado l’ordinanza del presidente della regione Lazio Francesco Rocca del 5 giugno scorso, il messaggio non è chiaro a tutti e non tutti la rispettano al 100%». «Ci sono persone che lavorano anche negli orari più caldi – sostiene Gurmukh Singh, presidente della comunità indiana del Lazio – Sto pensando di fare un video e segnalare l’accaduto. Bisogna comprendere che è pericoloso lavorare con questo caldo».
DODICI OPERAI dell’Ansaldo Energia a Genova Campi ieri sono stati ricoverati in infermeria a causa dei malesseri causati dal caldo eccessivo. «In un anno niente di efficace è stato fatto – denuncia la Rsu aziendale – Nel reparto Pale ci sono 39 gradi anche alle 17, negli spogliatoi di Fegino anche 40 alle 14. È stato sospeso il secondo turno nei reparti non climatizzati. Abbiamo ribadito rabbia e stupore alla direzione perché l’azienda non ha risolto problemi risolvibili». Alla Relevi di Rodigo (Mantova) è stato proclamato uno sciopero il 7 luglio. La richiesta è «ridurre l’orario di lavoro mediante la Cassa Meteo o aumentare le pause da due a tre per il pomeriggio e il notturno».
CI SI CHIEDE se il protocollo varrà anche nei ghetti dei braccianti che lavorano in condizioni disumane, come quello di Borgo Mezzanone a pochi chilometri da Foggia. In questa zona che non rientra nel diritto, ma è tollerata nei fatti da tutti in aperta complicità con il sistema del caporalato, l’esenzione oraria dall’attività schiavile non ha un grande valore. Anche se fosse applicata una sospensione dell’attività nei campi, i braccianti migranti sarebbero comunque costretti a vivere nelle baracche di lamiera dove il caldo è disumano al mattino, come anche nelle notti più torride. Ieri a Borgo Mezzanone c’è stata una visita di sindacalisti, parlamentari italiani ed europei e rappresentanti della Commissione europea. Hanno constatato la non nuova situazione allucinante.
«NON POSSIAMO più permettere che questi luoghi siano zone franche di diritti. Borgo Mezzanone è la dimostrazione concreta di quanto sia urgente un intervento strutturale: servono investimenti, alternative abitative dignitose e, soprattutto, la volontà politica di far uscire questi lavoratori dall’invisibilità» sostiene Antonio Ligorio, segretario Flai Cgil Puglia. E dire che nel famoso “Pnrr”, quel piano che doveva salvare l’economia italiana, era previsto un fondo da 200 milioni per chiudere un ghetto come quello nel foggiano. “Non è stato speso nemmeno un euro – ha denunciato Giovanni Mininni, segretario della Flai Cgil. – Il governo italiano rischia di perdere i 200 milioni del PNRR destinati al superamento dei ghetti”. In un paese maledetto, non si fanno le leggi, ma protocolli. E, anche quando ci sono, i soldi non vengono spesi. Soprattutto quando si tratta di alleviare il peso della vita degli invisibili che in realtà sono visibili a tutti.
«SIAMO A INIZIO LUGLIO, quando si chiuderanno gli accordi sarà tardi – sostiene Antonio Di Franco, segretario della Fillea al sito della Cgil «Collettiva» – Vanno bene ordinanze e contrattazioni, ma serve una normativa nazionale di riferimento che vieti il lavoro in tutte le situazioni in cui è previsto un rischio climatico alto. Servirebbe una legge organica che introduca l’obbligo di sospensione di tutti i cantieri e di tutti i luoghi di lavoro. Sia nel protocollo, sia nello schema di emendamento questo non c’è». «Il protocollo è un buono strumento e si rivolge al lavoro subordinato e autonomo – sostiene Francesca Re David, segretaria confederale Cgil – Ma gli interventi vanno resi strutturali e va definito un valore soglia per legge sotto cui scattano misure di emergenza». La ministra del lavoro Marina Calderone ieri ha lodato la ritrovata intesa con le parti sociali. Non accadeva dal Covid. Restano da vedere i risultati.
«IL PROTOCOLLO-QUADRO è generico – sostiene l’Unione Sindacale di Base (Usb) – Non avrà effetti concreti nei luoghi di lavoro». Non prevede, ad esempio «parametri minimi per garantire un’omogeneità della valutazione dei rischi e nelle misure di prevenzione. Se non favorisce l’intervento dei rappresentanti dei lavoratori sulla sicurezza (Rls) resta un testo vuoto». Usb denuncia di non essere stata invitata «inspiegabilmente» al primo tavolo con il governo e critica l’«assenza di volontà del ministero del lavoro, Cgil-Cisl-Uil e imprese di adottare misure efficaci».
L’INAIL HA PRESENTATO ieri il rapporto annuale su infortuni (593mila nel 2024) e morti sul lavoro (1202 nel 2024). C’è stato un aumento delle malattie professionali e la Uil ha chiesto di conteggiare gli infortuni dovuti al caldo. In un videomessaggio la presidente del Consiglio Meloni ha elogiato l’azione del proprio governo che ha sbloccato 1.200 miliardi già disponibili. Per Meloni la sicurezza sul lavoro è «una priorità» che intende affrontare con la «patente a crediti», cioè un sistema di incentivi alle imprese in cui ci sono meno infortuni e meno morti. «Ogni vita spezzata sul posto di lavoro è una sconfitta per ciascuno di noi» ha detto Meloni. Una sconfitta che si ripete 100 volte al mese in media. La strage continua. La chiamano: capitalismo.
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