4 Luglio 2025
Equità fiscale, così l’Italia accompagna il passo indietro


Nel mese di dicembre 2020 Giorgia Meloni tuonava su X contro i giganti del web e invocava misure efficaci di contrasto all’elusione delle multinazionali che comporta ammanchi significativi per gli erari degli Stati.

Dieci mesi dopo questa presa di posizione di Meloni, 140 Paesi, tra cui l’Italia, annunciavano il raggiungimento di un accordo, sotto l’egida Ocse, sulla riforma della fiscalità internazionale d’impresa. Tra i pilastri della riforma figurava la global minimum tax (Gmt) ovvero l’obbligo di assoggettare a tassazione minima del 15% i profitti dei grandi gruppi in ogni Paese in cui conducono le proprie attività. Il disegno della misura dovrebbe essere reso più ambizioso, eppure la Gmt, nel frattempo adottata dall’Italia, ha rappresentato un passo nella giusta direzione, fornendo un argine al dumping fiscale internazionale e depotenziando i paradisi fiscali societari.

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Gli auspici di Meloni, passata nel frattempo dagli scranni dell’opposizione a palazzo Chigi, sembravano aver trovato una concreta risposta normativa. Ma una consistente parte delle corporation si è da poco presa una sonora rivincita. Con il via libera del governo italiano che ha, di colpo, fatto invecchiare molto male il tweet della premier. Pochi giorni fa infatti il nostro governo ha sottoscritto un accordo in seno al G7 che esclude le multinazionali statunitensi dal perimetro di applicazione della Gmt, mai ratificata dagli Stati uniti: in base all’accordo e in spregio a quanto concordato, i profitti sotto-tassati delle major a stelle e strisce resteranno fuori dalla portata degli altri governi.

L’accordo arriva sotto la minaccia statunitense di aumentare il carico fiscale negli Usa sugli investitori di Paesi che secondo la Casa bianca hanno adottato norme fiscali che penalizzano le imprese americane. L’intesa verrà ora portata all’attenzione di altri Paesi che hanno implementato la global minimum tax con l’aspettativa – da scongiurare – che tutti vi si adeguino.

L’accordo è una pessima notizia. Disincentiva altri Paesi dall’applicare le norme sulla tassazione minima e, nel contesto europeo, rischia di creare uno svantaggio competitivo per i colossi dell’Unione rispetto ai giganti Usa. Le ritorsioni americane sono inoltre tutt’altro che lenite: depotenziata la Gmt, Trump continua a vedere come fumo negli occhi anche le web tax nazionali (tra cui quella italiana) che colpiscono in maggior misura i colossi digitali americani. La spada di Damocle delle sanzioni o contro-misure fiscali statunitensi non ha perciò smesso di pendere su Paesi come l’Italia e lo vedremo molto presto. Il ministro Giorgetti ha definito onorevole il compromesso raggiunto al G7. Per Oxfam si tratta piuttosto di una resa che mina i progressi degli ultimi anni nel contrasto agli abusi societari e alla concorrenza fiscale dannosa tra i Paesi. Servirebbe un sussulto di dignità, in primis da parte dei governi Ue, e non degli atti di vassallaggio che, replicati nel breve termine, rischiano, sotto i diktat di Trump, di portarci – italiani ed europei – ad altri «onorevoli compromessi», snaturando importanti conquiste normative e regolatorie degli ultimi anni.

Servirebbero maggiori sforzi della comunità internazionale per contrastare con vigore l’elusione fiscale societaria, per affrontare le sfide poste ai sistemi fiscali dalla digitalizzazione dell’economia, per arrivare a standard globali di tassazione degli ultra-ricchi.

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L’amministrazione Trump non è interessata a contribuire a simili sforzi: gli Stati uniti si sono ritirati dal negoziato sulla convezione quadro delle Nazioni unite sulla cooperazione fiscale internazionale e non hanno sottoscritto il documento finale della Conferenza Onu sul finanziamento per lo sviluppo di Siviglia. Con le parole del premio Nobel J. Stiglitz, i Paesi si trovano oggi di fronte a un bivio: allinearsi a chi vuol disfare quanto costruito negli ultimi anni oppure raddoppiare l’impegno per rendere il sistema fiscale internazionale meno obsoleto e più equo. È nell’interesse dell’economia e dei cittadini di tutto il mondo che a prevalere sia la seconda opzione.

*L’autore è policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia



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