
La Cina che applicherà dazi antidumping definitivi compresi tra il 27,7% e il 34,9%, bloccando di fatto l’espansione di un distillato come la grappa che già doveva fare i conti con il problema di dover affrontare le limitazioni all’import per tipologia. Il provvedimento va quindi ad aggravare ulteriormente la situazione, con il Consorzio nazionale grappa che, per bocca del suo presidente Sebastiano Caffo, guarda con preoccupazione anche sul fronte occidentale e il comparto guarda ad altri mercati, a partire dal Sud America. Sul fronte atlantico, infatti, si avvicina la dead line del 9 luglio e un accordo tra Usa e Ue sui dazi ancora non è stato trovato, con il presidente americano Donald Trump che minaccia di imporre dazi del 17% sulle esportazioni agroalimentari europee, qualora il Vecchio Continente non garantisca esenzioni normative alle imprese statunitensi e non intervenga per ridurre il proprio surplus commerciale. Alla fine, il nodo, è tutto qui: perché la strategia aggressiva di Washington sui dazi, come già evidenziato da Italia a Tavola, nasconde in realtà un disegno ben preciso che porta dritto ad una ridefinizione del mercato, con Trump che vorrebbe superare le regolamentazioni Ue sul cibo per aprire la strada ai prodotti a stelle e strisce.
Dazi cinesi su grappa e brandy: misure fino al 34,9%
Se la prospettiva americana genera incertezza, le decisioni già adottate dalla Cina sono invece ben definite e immediate. A partire da sabato 5 luglio, entrano in vigore i dazi antidumping definitivi sulle importazioni di brandy e grappa provenienti dall’Unione europea, con tariffe comprese tra il 27,7% e il 34,9%. Il provvedimento arriva al termine di un’indagine avviata oltre un anno fa dal Ministero del Commercio cinese (MOFCOM), con l’obiettivo dichiarato di contrastare pratiche di dumping da parte dei produttori europei. Secondo quanto emerso, non tutte le imprese europee saranno colpite allo stesso modo. Alcuni grandi gruppi, in particolare francesi, hanno scelto di aderire a un meccanismo di price undertaking, ovvero accordi sui prezzi minimi di esportazione che garantiscono l’esenzione dalle tariffe. Tra questi, figurano Rémy Cointreau e Pernod Ricard, che hanno valutato tale soluzione come preferibile rispetto al dazio.
Giacomo Ponti, presidente di Federvini
La reazione del settore non si è fatta attendere. In una nota ufficiale, Federvini ha espresso profonda preoccupazione per la misura adottata da Pechino attraverso una nota stampa. «È l’ennesimo caso di barriera tariffaria che riteniamo del tutto ingiustificata e rappresenta un ulteriore elemento di preoccupazione in uno scenario globale sempre più sotto attacco», ha commentato Giacomo Ponti, presidente della federazione. Ponti ha evidenziato come le aziende italiane ed europee abbiano collaborato attivamente nel corso dell’indagine cinese, fornendo «documentazione ampia e puntuale» per dimostrare l’assenza di dumping. Nonostante ciò, le misure sono diventate definitive e, secondo Federvini, costituiscono un ostacolo concreto al libero commercio.
Sebastiano Caffo, presidente del Consorzio nazionale grappa
«I dazi – commenta Caffo – non sono mai una cosa positiva. Certamente, la presenza della grappa in Cina è ancora molto ridotta: i numeri sono piccoli, anche perché il mercato principale resta quello nazionale. Per quanto riguarda l’estero, il riferimento principale è la Germania e, più in generale, i Paesi di lingua tedesca. Al di fuori di quest’area, la presenza della grappa è ancora piuttosto limitata. Come Consorzio, stiamo lavorando per espandere la diffusione all’estero, ma l’introduzione di nuovi dazi non può che essere considerata negativamente: rappresentano un ostacolo che rallenterà sicuramente l’ingresso della grappa in questi mercati. Va anche detto che in Cina esiste già una normativa molto stringente su alcuni parametri del prodotto, che costituiscono di per sé una barriera all’entrata per la grappa italiana».
Dazi cinesi su grappa e brandy, si punta ad un accordo
Il price undertaking, già adottato da alcuni produttori, potrebbe rappresentare un parziale scudo contro gli effetti dei dazi. Tuttavia, si tratta di meccanismi vincolati a condizioni specifiche, non sempre accessibili o sostenibili per piccole e medie imprese italiane. Questo elemento crea un’ulteriore frattura all’interno del comparto produttivo europeo, generando dinamiche competitive disomogenee all’interno dello stesso mercato. Di fronte a un contesto così incerto, Federvini rilancia la necessità di un confronto istituzionale: «Non possiamo permetterci di continuare a subire controversie commerciali che danneggiano le imprese». L’appello è chiaro: riaprire rapidamente un tavolo di dialogo bilaterale con le autorità cinesi, per cercare una soluzione condivisa e strutturale che non penalizzi le esportazioni europee di spiriti.
Grappa e brandy oggetto di dazi da parte della Cina
Tra le prospettive di dazi americani e le misure già attive da parte della Cina, il settore spirits europeo – e in particolare quello italiano – si trova in una posizione di fragilità crescente. L’export di grappa e brandy rappresenta una voce importante per il comparto agroalimentare nazionale, ma oggi appare esposto a dinamiche geopolitiche difficili da prevedere. Il ruolo dell’Unione europea sarà cruciale nel trovare un equilibrio tra difesa commerciale e apertura dei mercati, evitando che i produttori siano le principali vittime di strategie politiche internazionali sempre più aggressive.
Caffo quindi evidenzia: «Sicuramente un ripensamento sarebbe auspicabile, ma è altrettanto importante lavorare affinché vengano accettati i parametri già previsti nella scheda tecnica della grappa, che ne definiscono l’identità e le caratteristiche. Sarebbe fondamentale poter esportare la stessa tipologia di distillato che viene commercializzata in Europa. Purtroppo, a causa dei parametri attualmente richiesti, non è possibile introdurre tutte le varietà di grappa oggi presenti sul mercato, e questo riduce le opportunità di inserimento del prodotto nei mercati cinesi.»
Dazi Usa, Trump rilancia
Nel corso della mattinata del 6 luglio, Donald Trump ha annunciato l’intenzione di inviare lettere a 12 Paesi, senza specificare quali, per informarli dei nuovi dazi che saranno applicati alle esportazioni verso gli Stati Uniti. «Oscilleranno dal 60% o 70% al 10% e 20%», ha dichiarato ai giornalisti, senza però fornire dettagli su tempi e modalità. E rimane in piedi anche l’ipotesi del 17% sull’export agroalimentare. L’incertezza resta alta, mentre la Commissione europea conferma la volontà di continuare i negoziati. «Dopo aver discusso lo stato di avanzamento della questione con i nostri Stati membri, la Commissione si impegnerà nuovamente con gli Stati Uniti sul merito nel fine settimana», ha dichiarato un portavoce dell’esecutivo Ue. Tuttavia, Bruxelles resta cauta: «Ci prepariamo anche all’eventualità che non si raggiunga un accordo soddisfacente».
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha rilanciato sui dazi
Questo scenario avrebbe un impatto anche sulla grappa, che molto più radicata negli Stati Uniti rispetto alla Cina, come ricorda il presidente del Consorzio: «È uno scenario complesso. Negli Stati Uniti, sicuramente, la presenza della grappa è maggiore, anche perché in passato sono stati fatti investimenti mirati sul mercato americano, con attività promozionali dedicate a far conoscere la denominazione geografica e il prodotto stesso, come Hello Grappa!, promosso da Assodistil con alcune distillerie che credono nell’export della grappa. Proprio ora stavamo iniziando a raccogliere i primi risultati di quel lavoro. Come detto, con l’aumento dei dazi verso la Cina, sarà inevitabilmente più difficile indirizzare lì gli investimenti da parte delle aziende e dei distributori. A questo si aggiungono le barriere già esistenti, legate ai parametri analitici richiesti per l’importazione degli alcolici. L’introduzione di nuovi dazi non fa che aggravare ulteriormente la situazione».
Dazi, la grappa guarda a nuovi mercati
Considerate le difficoltà in Cina, aggravate dai dazi, e le prospettive fosche negli Usa, il Consorzio della grappa guarda con attenzione a nuovi mercati, a cominciare dal Sud America: «A mio avviso, lo sviluppo della grappa può avvenire con successo in Sud America, soprattutto perché il gusto dei consumatori è simile al nostro. Inoltre, in questi Paesi è forte la presenza storica della comunità italiana, e c’è anche una tradizione nella produzione di distillati simili, derivati dalla filiera vitivinicola. Basti pensare al pisco in Cile, oppure a distillati simili alla grappa – anche se privi di indicazione geografica – presenti in Argentina e in altri Paesi sudamericani. In questi mercati si sta anche lavorando affinché l’uso improprio del termine “grappa” venga eliminato, dato che oggi è una denominazione riservata esclusivamente al prodotto italiano. Il consumatore sudamericano, però, conosce la categoria e sa di cosa stiamo parlando: questo rappresenta un vantaggio importante per lo sviluppo del mercato».
Dazi usa, cosa c’è dietro
Come già evidenziato da Italia a Tavola, la questione dei dazi non rappresenta che un aspetto di una sfida ben più ampia. Il vero obiettivo degli Stati Uniti va oltre il protezionismo commerciale: si tratta di mettere in discussione l’insieme delle regole europee che oggi tutelano i cittadini, il cibo e il mercato interno. Il settore agroalimentare rappresenta solo il primo terreno di confronto, ma non sarà l’unico. Sotto la spinta dell’amministrazione americana, si cela una strategia che mira a superare le cosiddette barriere non tariffarie: parliamo di norme sanitarie e fitosanitarie, regole sull’etichettatura, tutela delle denominazioni d’origine e dei diritti dei consumatori. Queste disposizioni, frutto di decenni di scelte politiche e di tutela della qualità, impediscono oggi l’ingresso nel mercato europeo di prodotti come la carne trattata con ormoni o alimenti trasformati a basso costo.
L’intento dichiarato è una maggiore apertura del mercato europeo, ma il rischio concreto è un allentamento delle garanzie sanitarie e qualitative. In questa prospettiva, si vorrebbe equiparare prodotti profondamente diversi per composizione, origine e tracciabilità. Emerge in maniera evidente con l’esempio del Parmigiano Reggiano: il rischio è che venga messo sullo stesso piano di imitazioni industriali, prodotte senza alcun legame con il territorio d’origine, ad esempio in Nebraska. Un ulteriore fronte riguarda l’Iva. Gli Stati Uniti premono affinché i loro prodotti vengano esentati dall’imposta sul valore aggiunto applicata nell’Unione europea. Una richiesta che, se accolta, introdurrebbe un vantaggio competitivo immediato e sproporzionato, stimabile attorno al 20% sul prezzo finale, a danno dei produttori europei. Una misura che andrebbe a compromettere i principi della concorrenza leale, introducendo distorsioni significative sul mercato.
Dazi Usa, sicurezza a rischio
A essere sotto pressione sono anche le regole europee sulla qualità e sulla sicurezza alimentare, con richieste volte a ridurre i controlli fitosanitari e a limitare la protezione delle indicazioni geografiche protette. L’eventuale apertura a prodotti che imitano quelli europei, senza garanzie né standard minimi, rischierebbe di disorientare i consumatori e danneggiare gravemente le filiere di qualità che rappresentano un pilastro dell’agroalimentare continentale.
In gioco c’è anche la sicurezza alimentare
In questo contesto, appare evidente che non si tratta soltanto di una trattativa commerciale, ma di un confronto che tocca direttamente la tutela dei modelli produttivi europei, l’identità culturale del cibo e la sovranità normativa dell’Unione. Per questo è necessario che, accanto all’azione della Commissione, emergano risposte chiare anche da parte del mondo agricolo e del sistema produttivo nel suo complesso. Una difesa efficace delle eccellenze italiane ed europee passa anche dal mantenimento delle regole che ne garantiscono la qualità, la tracciabilità e la distintività sul mercato globale.
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