
La lettera di Trump non è una minaccia, ma una proposta storica: creare un mercato unico USA-UE. L’Italia ha l’occasione di guidarlo.
C’è chi si ferma al tono. Io guardo la visione. E colgo l’occasione che pochi (volutamente) vogliono vedere.
Donald J. Trump ha scritto a Ursula von der Leyen una lettera destinata a fare epoca. I soliti notisti scandalizzati si sono affrettati a definirla “minacciosa”, “muscolare”, “anti-europea”. Hanno, come sempre, sbagliato bersaglio. Non hanno capito – o hanno fatto finta di non capire – che dietro quel 30% di dazi annunciati a partire dal 1° agosto, c’è molto di più: c’è l’embrione di un’idea geopolitica e commerciale radicale, visionaria, concreta. E per chi, come me, crede nell’identità occidentale, nella libertà d’impresa e nella rinascita economica attraverso il lavoro e il merito, quella di Trump non è una minaccia, ma una straordinaria opportunità.
Perché la vera proposta che si cela tra le righe di quella lettera è chiara:
un mercato unico USA-UE, senza dazi, senza barriere, senza alibi.
Un’area economica occidentale integrata, dove l’accesso è libero e la competizione reale. Dove i prodotti europei possono entrare in America senza ostacoli, e viceversa. Dove la reciprocità smette di essere un concetto astratto e diventa regola. Dove la produzione si sposta dove conviene, e chi ha il coraggio di investire raccoglie i frutti. Una nuova architettura commerciale che manda in soffitta il vecchio protezionismo mascherato da burocrazia, e afferma una volta per tutte il primato dell’impresa sul regolamento.
L’Europa deve scegliere: stare con sé stessa, o con l’Occidente
Il paradosso è evidente: gli stessi che parlano ogni giorno di “difesa dell’Occidente”, quando si tratta di fare dell’Occidente una realtà concreta – e non solo retorica – si tirano indietro. Preferiscono rifugiarsi dietro le regole di Bruxelles, dietro i diktat tecnocratici, dietro quella cultura del sospetto verso il libero mercato che soffoca la crescita e premia solo i colossi che sanno navigare il mare della normativa.
Eppure oggi più che mai serve coraggio. Serve un’Europa che accetti la sfida di un mercato transatlantico pienamente aperto, che capisca che il futuro si gioca con Washington, non con Pechino. Che sappia sganciarsi dal riflesso antiamericano dell’élite eurocentrica e guardare all’Atlantico come al proprio destino naturale.
Trump lo dice in modo crudo, ma inequivocabile: chi vuole commerciare con gli Stati Uniti, venga a produrre negli Stati Uniti. Il messaggio è chiaro: il tempo della rendita è finito. Inizia il tempo della scelta.
L’Italia, se vuole, può diventare ponte e guida
Per l’Italia – per l’Italia vera, fatta di piccole e medie imprese, di artigiani, di creatori, di produttori autentici – questa è una possibilità storica. Non abbiamo nulla da temere dalla competizione con gli Stati Uniti: abbiamo qualità, stile, manifattura, bellezza. Abbiamo identità. Quello che ci è sempre mancato è l’accesso, la fluidità, la semplificazione.
Se davvero si aprisse uno spazio economico comune, libero da dazi e barriere, l’Italia potrebbe vivere una seconda rivoluzione industriale. Potremmo vendere di più, meglio, più velocemente. Potremmo attrarre investimenti, stringere alleanze, diventare la California del Mediterraneo. A patto di non restare immobili.
Ecco perché dobbiamo dire una cosa semplice, netta, inequivocabile: dazi zero tra USA e UE non sono un’utopia. Sono una necessità. E chi li propone, va ascoltato.
Non è il tono, è il contenuto
Trump non è un diplomatico. Non è un poeta. È un costruttore. Dice le cose in modo diretto, talvolta brutale, sempre efficace. Ma chi si ferma al tono sbaglia. Perché oggi, dietro la sua proposta commerciale, c’è un’idea di mondo. Un mondo dove l’Occidente smette di farsi la guerra in casa, e torna ad agire unito contro chi ci minaccia davvero. Un mondo dove il Made in Italy può tornare a essere grande non grazie a sussidi, ma grazie alla libertà di commercio. Un mondo dove il merito conta più del regolamento.
E allora sì: ben venga la lettera. Ben venga la provocazione. Ben venga la sfida.
Io non vedo dazi. Vedo un ponte. E voglio attraversarlo.
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