
Maggioranza, Cisl e Ugl esultano, le opposizioni parlano di maquillage normativo e contenuti inesistenti, la Cgil paventa addirittura la “cancellazione della contrattazione”. L’Aula di Palazzo Madama ha approvato con 85 sì, 21 no e 28 astenuti il ddl sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili di impresa. Il provvedimento, già approvato dalla Camera il 26 febbraio, diventa così legge. Per la relatrice Paola Mancini, di FdI, “contribuisce a migliorare nel profondo le relazioni sindacali” verso un modello in cui “si corre insieme verso il miglior risultato possibile”. Il senatore di Alleanza Verdi e Sinistra, Tino Magni, raffredda gli entusiasmi: “I rappresentanti dei lavoratori e i lavoratori non toccano palla. La partecipazione alla pari delle lavoratrici e dei lavoratori e delle rappresentanze con il datore di lavoro non c’è, è totalmente esclusa”.
La legge era nata come proposta di iniziativa popolare promossa dalla Cisl, come è noto non ostile al governo, che puntava ad attuare l’articolo 46 della Costituzione in base al quale “ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende”. Fin dall’inizio la partecipazione dei lavoratori agli organi di vertice era solo un’opzione. A valle del passaggio parlamentare, durante il quale è stata fusa con altre proposte di parlamentari di maggioranza e svuotata a suon di emendamenti, quel che resta è un guscio vuoto. O peggio.
Per la senatrice del Pd Susanna Camusso, che ha annunciato l’astensione dei dem per rispetto all’originaria legge d’iniziativa popolare, “c’è stato un allinearsi a un veto di Confindustria, da sempre contraria a tutte le forme di partecipazione dei lavoratori. Quando si decide che le forme di partecipazione dipendono solo dalla volontà delle imprese di attuarle, c’è da chiedersi se, secondo la maggioranza, lo Stato, quando è datore di lavoro nelle partecipate e nelle amministrazioni locali, debba avvalersi di tale norma”. Insomma: “Altro che salto di qualità, è stata tolta tutta la parte sulla governance, riducendo la legge a una questione solo finanziaria, cancellando il lavoratore, sostituito dall’azionista”.
“Il testo originario, su cui la Cisl ha raccolto 400mila firme, è stato profondamente snaturato rispetto alla sua visione originaria, svuotato del suo significato politico, sociale e costituzionale”, ha rincarato il capogruppo del M5S in 10a commissione, Orfeo Mazzella. “Si limita a elencare una serie di strumenti facoltativi, lasciati alla completa discrezionalità delle imprese e subordinati a condizioni vaghe, nebulose, spesso prive di impatto reale e duraturo. Nulla è obbligatorio, garantito, strutturale. Insomma: questa legge costruisce una partecipazione di facciata. Questo provvedimento, così com’è stato modificato dalla maggioranza, è un pericoloso passo indietro. Si parla di partecipazione ma nel concreto la si svuota, si dice di rafforzare la contrattazione collettiva ma la si rende inutile”.
Concorda la segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David, secondo cui con la legge “si sostituisce la contrattazione con una logica di subordinazione delle relazioni nelle imprese” e “si depotenzia enormemente il ruolo delle lavoratrici, dei lavoratori e dei sindacati perché saranno unicamente le aziende ad avere il potere di concedere il diritto di partecipare alla gestione e decidere se dare vita alle Commissioni paritetiche, oggi già ampiamente diffuse per via contrattuale”. Secondo la segretaria confederale, “non è un caso che l’unico aspetto che si evidenzia nelle varie dichiarazioni è la partecipazione dei lavoratori agli utili, che di fatto svuoterà il rapporto tra salario aziendale e prestazione di lavoro“. “Se questa legge verrà applicata, ai lavoratori non verrà più riconosciuta pari dignità rispetto alla parte aziendale. Per questo sosteniamo che siamo di fronte ad una legge che, cancellando la contrattazione, rappresenta l’opposto della partecipazione”.
Francesco Zaffini, presidente della commissione Lavoro e Salute del Senato in quota FdI, ostenta invece entusiasmo e si spinge a sostenere che il passaggio segna la fine della “lotta di classe” e “pone le basi per avviare un rapporto condiviso, una nuova visione delle relazioni sindacali che parte dall’obiettivo della tutela del bene comune e del rispetto delle prerogative dei lavoratori al fine della realizzazione di un benessere condiviso tra lavoratori e imprenditori”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link