19 Maggio 2025
il rapporto tra Fisco e diritto al rispetto della vita privata


Sotto la lente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) i controlli fiscali presso sedi di imprese e professionisti: il delicato equilibrio tra Fisco e diritto al rispetto della vita privata

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La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenza del 6 febbraio 2025, ha ritenuto la legislazione tributaria italiana inidonea a delimitare la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria in caso di accesso presso le sedi di imprese e professionisti, intendendo così estendere le garanzie previste per l’accesso al domicilio anche alle sedi di esercizio di attività commerciali e professionali.

I ricorsi portati all’attenzione della Corte riguardavano l’accesso e l’ispezione di sedi legali, locali commerciali o adibiti ad attività professionali, con conseguente esame, riproduzione ed eventualmente sequestro non solo di scritture contabili, libri sociali, fatture e altri documenti obbligatori relativi alla contabilità, ma anche di altri documenti rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale, oltre a “qualsiasi altro documento pertinente” anche estraneo a scritture e libri contabili obbligatori (comprese eventuali scritture extracontabili).

La sentenza della CEDU sui controlli fiscali presso le sedi delle attività commerciali

In particolare, la Corte ha ritenuto che la vigente disciplina domestica in materia di accessi ai fini fiscali si ponga in contrasto con l’art. 8 Cedu, con specifico riferimento alle disposizioni che autorizzano gli ufficiali e gli agenti della Guardia di Finanza e i funzionari dell’Agenzia dell’Entrate ad accedere “in qualsiasi momento” ai locali adibiti ad attività commerciali e industriali al fine di effettuare verifiche ed indagini al loro interno.

I giudici hanno in particolare appuntato l’attenzione anche sull’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui l’autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio dell’Agenzia delle Entrate o da un pubblico ministero che consente l’accesso ai locali commerciali e ai locali utilizzati per attività professionali che non sono residenze private non deve essere motivata, laddove le disposizioni in materia non prevedono condizioni specifiche per il rilascio di tale autorizzazione, per cui quest’ultima è un mero adempimento procedimentale, necessario solo affinché il provvedimento possa essere approvato da un’autorità gerarchicamente e funzionalmente superiore.

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La Corte, recependo i motivi di censura, ha dunque affermato che il quadro giuridico nazionale non delimita sufficientemente la discrezionalità dell’Amministrazione finanziaria, non essendo le misure contestate sottoposte a un controllo preventivo, sia di carattere giudiziario e sia da parte di un soggetto indipendente.

Le considerazioni della CEDU sui controlli fiscali presso le sedi delle attività commerciali

Pur non indicando il citato art. 8 della Convenzione, in modo specifico, i requisiti procedurali da rispettare, tale circostanza, secondo la Corte, non escluderebbe che le misure “di interferenza” debbano essere eque e tali da rispettare debitamente gli interessi tutelati dell’individuo, laddove, pur non potendo le ispezioni effettuate ai fini tributari essere equiparate a un’operazione di perquisizione e sequestro disciplinati dal c.p. e dal c.p.p., le stesse costituiscono comunque una interferenza con il diritto dei ricorrenti al rispetto della propria casa e della propria corrispondenza.

A tal fine la Corte ha quindi chiarito che non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto, a meno che tale ingerenza non sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza, per il benessere economico del Paese, per la difesa dell’ordine, per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Di qui la conclusione volta a stabilire che la legge di diritto interno deve indicare con sufficiente chiarezza la portata della discrezionalità conferita alle autorità competenti e le modalità del relativo esercizio.

In relazione all’oggetto e all’ambito di applicazione delle misure contestate, quel che ha “colpito” la CEDU è stata in particolare l’ampiezza dei poteri riconosciuti agli organi accertatori, laddove, in base alla disciplina nazionale, da un lato, le verifiche possono estendersi a tutti i libri, registri, documenti e dichiarazioni scritte (compresi quelli non soggetti all’obbligo di tenuta e conservazione) che si trovino nei locali interessati o siano comunque accessibili mediante dispositivi digitali ivi installati; e, dall’altro, l’ambito delle prove e dei documenti che possono essere acquisiti dalle autorità nazionali non è limitato a quelli relativi agli esercizi fiscali oggetto di verifica o a specifiche violazioni, ma può estendersi a qualsiasi altro documento che le autorità possono ritenere rilevante.

Rapporto tra Fisco e vita privata: le “prescrizioni” della CEDU

La Corte ha del resto anche indicato delle misure generali che lo Stato dovrebbe adottare al fine di evitare il riprodursi dello stesso tipo di violazione, ritenendo che “la violazione dell’articolo 8 riscontrata nel caso di specie appare di carattere sistemico, nel senso che è risultata dal contenuto del diritto interno pertinente, come interpretato e applicato dai tribunali nazionali” , con la conseguenza che ha considerato opportuno fornire “alcune indicazioni su come evitare violazioni di questo tipo in futuro (si veda Stoyanova c. Bulgaria, n. 56070/18, § 78, 14 giugno 2022)”, reputando “fondamentale che lo Stato convenuto adotti le opportune misure generali al fine di adeguare la propria legislazione e prassi alle conclusioni della Corte” e sollecitando anche la giurisprudenza ad “essere allineata” ai principi da essa stabiliti.

In tale ottica è stato quindi “prescritto” quanto segue:

  • il quadro normativo nazionale dovrebbe “indicare chiaramente le circostanze e le condizioni in cui le autorità nazionali sono autorizzate ad accedere ai locali e ad effettuare verifiche in loco e controlli fiscali nei locali commerciali e nei locali utilizzati per le attività professionali”;
  • “il quadro giuridico nazionale dovrebbe imporre alle autorità nazionali l’obbligo di fornire motivazioni e giustificare di conseguenza la misura in questione alla luce di tali criteri”;
  • “dovrebbero essere stabilite delle salvaguardie per evitare l’accesso indiscriminato o almeno la conservazione e l’uso di documenti e oggetti non correlati allo scopo della misura in questione, senza pregiudicare l’esercizio del potere delle autorità di avviare procedimenti amministrativi separati o, se del caso, procedimenti penali”;
  • si dovrebbe prevedere un controllo giudiziario efficace della misura contestata.

Tanto premesso, la linea della CEDU non appare (consapevolmente) conforme ai principi costituzionali di riferimento, come peraltro più volte interpretati anche dalla Corte di Cassazione.

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Rapporto tra Fisco e vita privata: le posizioni della Corte di Cassazione

Nell’ipotesi di accesso presso l’abitazione del contribuente (ma non anche per l’accesso presso i locali dell’impresa), in base alla giurisprudenza di legittimità, è infatti necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, in forza del principio dell’inviolabilità del domicilio sancito dall’art. 14 Cost. (cfr., Cass. n. 25650 del 15/10/2018 e Cass., n. 6237 del 07/03/2024).

L’autorizzazione alla perquisizione domiciliare del Procuratore della Repubblica è comunque subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie, la cui sussistenza e legittimità deve essere oggetto di verifica da parte del giudice, atteso che tale requisito coinvolge la regolarità del procedimento accertativo su cui si fonda la pretesa impositiva (cfr., Cass., n. 33399 del 30/11/2023 e Cass., n. 28577 del 18/10/2021).

Questo non vale però quando si tratti di locali ad uso promiscuo, laddove tale destinazione ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui gli ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi (cfr., Cass., n. 7723 del 28.03.2018).

La tutela dell’inviolabilità del domicilio, garantita dalla autorizzazione del Procuratore della Repubblica, è riconosciuta, del resto, solo qualora la destinazione abitativa dei luoghi a cui si accede sia connotata dai caratteri dell’effettività e dell’attualità, e non invece nei casi in cui sia il frutto di una astratta progettualità o di una dolosa qualificazione.

L’autorizzazione del Procuratore della Repubblica all’accesso domiciliare è comunque contraddistinta da un largo margine di discrezionalità, da cui discende anche la possibilità della estrema sinteticità della relativa motivazione (cfr., Cass., n. 23824 dell’11/10/2017).

L’art. 63, comma 1, seconda parte, del DPR n. 633/1972, stabilisce poi che “Essa (la G.d.F.) inoltre, previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria in relazione alle norme che disciplinano il segreto, utilizza e trasmette agli uffici documenti, dati e notizie acquisiti, direttamente o riferiti ed ottenuti dalle altre Forze di polizia, nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria”, disposizione questa che afferisce all’utilizzazione in sede amministrativa di documenti e dati acquisiti nel corso di un’indagine penale.

In merito a tale ultima disciplina, peraltro, è già stato più volte chiarito che l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, richiesta per la trasmissione agli uffici dei documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di finanza nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali, e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi, con la conseguenza che anche la sua eventuale mancanza, se può avere riflessi disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi; l’autorizzazione in parola è stata infatti introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio, piuttosto che per filtrare ulteriormente l’acquisizione di elementi significativi a fini fiscali (cfr Cass. nn. 28695 del 2005, 22035 del 2006, 2450 e 11203 del 2007, 27947 del 2009 e 27149/2011).

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Tornando all’autorizzazione alla perquisizione domiciliare del Procuratore della Repubblica, prevista dall’art. 52, comma 2, del Dpr. n. 633 del 1972, come visto, è del resto subordinata alla presenza di gravi indizi di violazioni tributarie, la cui sussistenza e legittimità deve essere oggetto di verifica da parte del giudice, atteso che tale requisito coinvolge la regolarità del procedimento accertativo su cui si fonda la pretesa impositiva (cfr., Cass., Sez. 5, sentenza n. 28577 del 18/10/2021).

Le Sezioni Unite, peraltro, già con la sentenza n. 16424 del 21/11/2002, hanno a tal proposito avuto modo di precisare che “…il giudice tributario, in sede d’impugnazione dell’atto impositivo basato su libri, registri, documenti ed altre prove reperite mediante accesso domiciliare autorizzato dal Procuratore della Repubblica, ha il potere-dovere, oltre che di verificare la presenza nel decreto autorizzativo di motivazione (sia pure concisa, o per relationem mediante recepimento dei rilievi dell’organo richiedente), circa il concorso di gravi indizi del verificarsi d’illecito fiscale, anche di controllare la correttezza in diritto del relativo apprezzamento, nel senso che faccia riferimento ad elementi cui l’ordinamento attribuisca valenza indiziarla…” e che una diversa lettura della norma in esame aprirebbe dubbi di costituzionalità, atteso che “…l’evidenziata natura dell’autorizzazione dell’accesso domiciliare, quale rilevante compressione del diritto all’inviolabilità del domicilio, subordinata alla ricorrenza di ipotesi predeterminate, comporterebbe, infatti, seguendo la tesi della insidacabilità dell’apprezzamento del Procuratore della Repubblica sul verificarsi in concreto di dette ipotesi, possibile violazione dell’art. 113 della Costituzione…”.

Quindi, forse, nonostante il giudizio tranchant della CEDU, esistono già nel nostro Ordinamento quei “paletti” di tutela coerenti con il nostro sistema giuridico e costituzionale.



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