21 Maggio 2025
I dati dell’economia Usa vanno male, ma gli affari di Trump sono radiosi: il presidente si comporta da zar


Il recente declassamento del debito pubblico Usa da parte di Moody’s non giunge certo inaspettato, anzi probabilmente è arrivato con un colpevole ritardo. Un’altra agenzia internazionale di rating, Fitch, aveva già fatto mancare la sua valutazione massima, la tripla A, alle finanze pubbliche Usa ancora nel 2023.

Quello che sta accadendo è che con un deficit annuale che è oramai attorno al 6% del Pil (esattamente il doppio della regola europea) il disavanzo totale sta esplodendo. Fra un po’ gli Usa raggiungeranno l’Italia, la seconda nazione più indebitata al mondo. Naturalmente i neo-trumpiani si sono affrettati a chiamare in causa l’Amministrazione Biden. Nulla di più falso. I conti pubblici sono stati scassasti dalla riforma fiscale di Trump del 2017. Adesso gli sgravi fiscali per imprese e redditi medio-alti sono a scadenza e la proposta di rinnovarli ha portato, finalmente, la potente agenzia di rating a fare il suo lavoro censorio, ben pagato peraltro.

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Questa nuova tegola sulla testa, o meglio, sul ciuffo di Trump, mi porta a fare alcune considerazioni sul bilancio dei primi 100 giorni della nuova amministrazione. Stavolta, almeno in economia, la ricorrenza è passata sotto tono perché era difficile immaginare un disastro così completo su tutti i fronti. Esaminiamone alcuni con un tocco impressionista.

I dazi. Sul circo dei dazi si è detto tutto e di più a causa delle giravolte presidenziali. Quello che qui ci interessa sono due aspetti. Le entrate fiscali da dazi finora sono state finora molto modeste, circa 20 miliardi di dollari. Lo saranno ancora di più, vista la sospensione dei super dazi verso la Cina. Quindi niente riduzione dell’imposta dei redditi per gli americani pagata dal resto del mondo. Inoltre, invece di ridurre il deficit, i dazi lo hanno aumentato, addirittura portando in negativo la crescita del Pil. La riduzione del Pil del primo trimestre, del tutto inaspettata, pare sia un fatto tecnico dovuto alla circostanza che le imprese hanno anticipato le importazioni per paura di nuovi dazi. Quando le imprese useranno le scorte, tornerà la crescita o almeno così si pensa. Rimane il fatto che la crescita radiosa del Pil per ora non c’è, ed è rimandata sine die.

Il petrolio. Anche il prezzo del petrolio si è mosso contro i sostenitori di Trump. Il greggio oggi è ai minimi da molti mesi, riducendo i profitti delle multinazionali del petrolio, grandi elettrici del presidente. Buon per noi, ovviamente, perché la benzina costerà di meno. Tuttavia questo è un segnale che l’attività produttiva sta languendo e di solito anticipa una stagnazione, oppure una recessione. Poi il motto di Trump, drill baby drill, è stato applicato da tutti i paesi produttori con la conseguente creazione di una eccedenza dell’offerta che ne ha affossato il prezzo. Il petrolio non potrà essere l’ancora di salvezza per il deficit commerciale Usa.

La borsa. I mercati finanziari sono stati i primi a non gradire la strategia economica di Trump. Con prezzi delle azioni prima in picchiata, poi in recupero ma ancora in terreno negativo, e con tassi sulle obbligazioni governative in aumento, peggio di così era impossibile fare. Trump ha scontentato tutti. I mercati finanziari sono ora in balia di una specie di stregone finanziario? Pare di sì. Ad essere colpiti non sono solo i miliardari della finanza, che comunque se la passano bene, ma soprattutto i milioni di cittadini americani che alla finanza hanno vincolato la loro pensione. Trump ha dato una bella sberla, finanziariamente, al ceto medio che lo ha votato.

Il dollaro. Neanche il biglietto verde se la passa bene con Trump. Le quotazioni del dollaro hanno già perso il 10% del loro valore e il barometro segna al brutto. Tutti stanno vendendo obbligazioni Usa e l’eccesso di offerta di dollari ne indebolisce il valore. Cosa molto buona per le esportazioni Usa, ancora però molto fiacche, ma non per la credibilità dell’Amministrazione Trump. In genere una moneta debole è figlia di un’economia debole.

Se tutti i dati, o quasi, dell’economia vanno male, e anzi molto male, al contrario per il Presidente, e le attività a esso collegate, pare che gli affari non siano mai stati così radiosi. Insomma, non capita a tutti di ricevere in regalo (in cambio di che?) un aereo del valore di 400 milioni di dollari. Trump si sta comportando esattamente come una specie di zar che subordina tutto ai suoi interessi personali e patrimoniali, molto estesi e ramificati. Poi sappiamo come è andata a finire con lo zar della Russia ed è arrivata la rivoluzione d’ottobre.

Magari non saranno gli operai a cacciare il despota Trump e la sua corte dei miracoli, ma i miliardari della tecnologia e della finanza improvvisamente rinsaviti dalle perdite miliardarie subite. Insomma, sembra che la democrazia, a differenza dell’autoritarismo, faccia bene anche al portafoglio. Di chi sta in basso, ma anche di chi sta in alto in maniera veramente egualitaria.



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