17 Giugno 2025
Francesco Maria Chelli: “I giovani laureati lasciano il Paese. Sono tra i meno pagati in Europa”


ROMA. Il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli fotografa l’impatto dell’inverno demografico sul sistema economico: «L’invecchiamento e il rischio di mancato ricambio generazionale riguarda il 30% delle imprese, si tratta in larga parte di micro-attività». In molti casi, sottolinea, il pensionamento del titolare determina una chiusura dell’attività: «Esce dal mercato non solo un lavoratore ma anche un datore». Le imprese più piccole sono spesso anche quelle caratterizzate da bassa scolarità e meno orientate all’innovazione, come succede nel commercio, nella manifattura con poca tecnologia e nei servizi alla persona. Qui «l’età media degli occupati è più alta rispetto alla media generale, che è attorno ai 45 anni».

I giovani dove risultano più occupati?

Assistenza e consulenza

per acquisto in asta

 

«Nelle attività nuove e più dinamiche: nel 2022 gli occupati sotto i 35 anni raggiungevano il 36% nelle imprese con meno di 5 anni, a loro volta più frequentemente gestite da imprenditori giovani, e fino a quasi il 40% nelle attività dei servizi ad alta tecnologia. Sono proprio queste le imprese innovatrici e più digitali, dove il capitale umano qualificato sotto i 35 anni si è rivelato un elemento cruciale».

Non sarebbe il caso di combattere la crisi della demografia migliorando le nostre politiche migratorie?

«L’Italia è un Paese attrattivo per gli stranieri. E l’immigrazione compensa in parte il deficit dovuto alla dinamica naturale negativa ormai da lunghi anni. Nel 2024 le immigrazioni dall’estero – 435mila – sono state più del doppio delle emigrazioni, generando un saldo migratorio positivo di 244mila unità. I cittadini stranieri che nel 2024 hanno trasferito la loro residenza nel nostro Paese sono stati 382 mila, l’1% in più sul 2023. Detto questo, la quota degli stranieri residenti in percentuale sulla popolazione in Italia è attorno all’11%, contro più del 20% in Germania, il 18% in Spagna o il 13-14% in Francia».

Perché 100 mila giovani laureati hanno lasciato l’Italia?

Contabilità

Buste paga

 

«Le cause sono tante e complesse. E si sono cumulate negli anni: circa 97mila laureati di cittadinanza italiana, che hanno lasciato il Paese nel corso dell’ultimo decennio, al netto dei rientri, sono un significativo deficit di capitale umano qualificato. Segnalo con preoccupazione che il 2023 si è contraddistinto per un nuovo slancio degli espatri di giovani laureati tra i 25 e i 34 anni: se ne contano 21mila (+21,2%), un livello senza precedenti da quando si monitorano i flussi di capitale umano qualificato in uscita. Contestualmente, si registra una contrazione dei rientri in patria di giovani laureati, scesi a 6mila (-4,1% rispetto al 2022). Ne deriva una perdita netta di poco più 15 mila giovani risorse qualificate di cittadinanza italiana».

È una perdita davvero significativa.

«Lo è senz’altro. Ma attenzione, c’è un ulteriore aspetto rilevante che riguarda il capitale umano. Se consideriamo infatti i giovani in possesso di un titolo di studio terziario, il saldo tra stranieri in entrata e italiani in uscita è positivo ed a favore dell’Italia».

C’è un problema di contratti e di salari? È vero che i giovani italiani sono i più precari e i meno pagati in Europa?

«I dati disponibili a livello europeo ci consentono un confronto su questo aspetto per l’età fino a 29 anni. Questi giovani svolgono un lavoro a termine più spesso dei coetanei europei: nella media del 2024 circa quattro dipendenti su dieci erano a tempo determinato (il 39,4%); la percentuale più elevata tra i Paesi dell’Ue dopo l’Olanda (52,3), e maggiore di 6,1 punti al valore della media Ue (33, 3%). In termini di salari, un confronto europeo può essere fatto sulle imprese con almeno 10 dipendenti. Nell’anno 2022, la retribuzione oraria dei giovani italiani fino a 29 anni era inferiore a quella della media Ue (11,7 rispetto a 13,4 euro), anche a parità di potere d’acquisto. L’Italia si trova in undicesima posizione dopo Francia, Austria, Germania, Svezia, Lituania, Finlandia, Lussemburgo, Irlanda, Belgio e Danimarca che presenta il valore più elevato».

La premier Giorgia Meloni ha detto che da quando è in carica il suo governo il potere d’acquisto è aumentato.

«La straordinaria crescita dei prezzi al consumo osservata dalla seconda metà del 2021 ha determinato un’importante perdita del potere di acquisto delle retribuzioni; solo a partire dal quarto trimestre 2023 si è osservato un progressivo recupero. Nella media del 2024, le retribuzioni contrattuali orarie e quelle di fatto per unità di lavoro sono cresciute rispettivamente del 3,1% e del 2,9%; a fronte di una crescita del tasso di inflazione del +1,1% secondo l’indicatore Ipca, cioè al netto dei beni energetici importati».

E nel 2025?

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 

«Nei primi quattro mesi la tendenza positiva prosegue: le retribuzioni contrattuali crescono del 3,8% e la dinamica inflazionistica si ferma all’1,9%. Inoltre, l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie per l’intera economia registrerebbe, nella media del 2025, un incremento superiore al 3% che permetterebbe, se si confermasse l’attuale dinamica dei prezzi, un ulteriore recupero di potere di acquisto. Nel complesso, le retribuzioni contrattuali reali di aprile 2025 sono comunque ancora inferiori di circa il 9% rispetto a quelle di gennaio 2021».



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