
Un capolavoro di Canaletto raggiunge i 37 milioni all’asta di Christie’s, mentre una rarissima prima opera di Galileo Galilei torna sul mercato: il record del patrimonio italiano e il rischio di dispersione.
2 Luglio 2025
Esmeralda Mameli
Il 30 giugno 2025, durante l’asta dedicata ai Maestri Antichi da Christie’s a Londra, “Il Ritorno del Bucintoro nel Giorno dell’Ascensione” (1732) di Canaletto è stato venduto per 31,9 milioni di sterline (circa 37 milioni di euro), superando di oltre il 50% le stime iniziali di 20 milioni di sterline. Si tratta della terza vendita documentata dell’opera in 300 anni, dopo il 1751 e il 1993. Un trionfo per Canaletto, il vedutista veneziano capace di trasmettere l’eleganza e la luce di Venezia attraverso composizioni prospettiche impeccabili e dettagli architettonici vividi.
L’osservatore si ritrova immerso in una scena vivace che si dipana sul molo marciano: lo sfarzo dorato del Bucintoro, le tende rosse svolazzanti, le gondole in primo piano e sullo sfondo la Basilica e il Palazzo Ducale. Una sinfonia visiva nitida e luminosa, resa possibile dalla pittura ad olio su tela, di dimensioni generose (circa 120 × 157 cm), conservata in ottimo stato grazie a passaggi limitati e accurata manutenzione.
Notevole è anche la provenienza dell’opera: giunta a Londra già nel 1736, la tela venne appesa al 10 di Downing Street come simbolo della magnificenza veneziana nella collezione di Sir Robert Walpole. Questo valore storico e simbolico ha contribuito a spingere la cifra d’asta oltre ogni previsione.
Contestualmente, l’attenzione delle aste londinesi si concentrerà sul 9 luglio 2025, con un’altra vendita straordinaria: la prima edizione anonima del “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella nova”, opera padovana in dialetto del 1605, attribuita a Galileo Galilei e Girolamo Spinelli. Si tratta del primo testo a stampa riconosciuto di Galileo, una vivace confutazione delle teorie aristoteliche ispirata alla supernova del 1604. Solo sette esemplari completi sono noti e l’unico in mani private è stimato tra 500.000 e 700.000 sterline (circa 580.000–815.000 euro).
Il ritrovamento nei circuiti internazionali di un’opera così rara solleva una riflessione critica sulle dinamiche del collezionismo privato e sul ruolo dello Stato italiano nella tutela del patrimonio bibliografico e scientifico.
In Italia, le norme che regolano l’export di opere di rilevanza storica e bibliografica prevedono notifiche obbligatorie e l’esercizio del diritto di prelazione da parte del Ministero, ma molte opere di grande valore passano comunque in mani private estere.
Il rischio concreto è che parte del patrimonio scientifico, testimoni della rivoluzione galileiana, venga disperso al di fuori delle biblioteche pubbliche italiane. L’acquisto da parte di collezionisti privati, spesso esteri, sottrae queste opere al dominio pubblico e all’accesso collettivo garantito dalle istituzioni nazionali o da strutture come il Museo Galileo a Firenze o la Domus Galilaeana di Pisa.
Questa situazione emerge in un contesto in cui la politica culturale italiana, pur avendo migliorato negli ultimi anni le dotazioni economiche (fondo da 105 milioni di euro per acquisto e archivi, aumento della spesa pro capite da 82 a 135 euro dal 2014 al 2020), resta alle prese con procedure burocratiche, insufficienti strumenti di prelazione e scarsa capacità di competere sul mercato globale. Le normative, se da una parte rafforzano i diritti privati proposi ad azioni culturali, dall’altra devono evitare che la proprietà privata diventi silenziosa cessione di senso collettivo.
L’asta di Christie’s segna due record: da un lato, astronomico per Canaletto; dall’altro, simbolico per Galileo. Dietro questi lotti, si cela un tema culturale di grande rilevanza: la gestione del patrimonio nazionale nel XXI secolo. L’uscita di un’opera così cruciale come il “Dialogo de Cecco” dal circuito pubblico internazionale impone una urgente riflessione su come valorizzare e proteggere il patrimonio bibliografico e scientifico italiano, non solo per motivi economici, ma per il diritto alla conoscenza condivisa.
In un’epoca dominata da logiche di investimento e prestige collecting, l’Italia rischia di perdere pezzi della propria identità scientifica, non per mancanza di testi, ma per competenze decisionali e capacità negoziali. Il valore del patrimonio non è solo monetario, è anche simbolico, educativo, collettivo. È tempo di rafforzare sistemi di tutela efficaci, dinamici e capaci di tenere dentro i confini nazionali beni che appartengono alla memoria e alla storia europea.
INTERVISTA | “Collezionare è un atto di responsabilità culturale”
Conversazione con Gianluca De Sandro, collezionista e consulente d’arte internazionale
In un mercato dell’arte sempre più dinamico e globalizzato, la figura del collezionista evolve. Oltre all’investimento e alla passione, emerge un nuovo profilo: quello del collezionista-custode. Ne abbiamo parlato con Gianluca De Sandro, romano, classe 1954, esperto d’arte antica e contemporanea, da oltre trent’anni attivo tra Roma, Londra e New York.
Dottor De Sandro, partiamo dall’attualità: Canaletto venduto per 37 milioni di euro e all’orizzonte un rarissimo testo di Galileo all’asta. Cosa raccontano questi due episodi del mercato dell’arte oggi?
«Raccontano che il valore culturale e storico di un’opera è tornato ad avere un peso specifico nel collezionismo, anche in quello d’élite. Il Canaletto è un’icona visiva di Venezia e della cultura europea del Settecento. È un dipinto che parla, racconta, seduce. Il libro di Galileo, invece, è un testimone della rivoluzione scientifica. Oggi il mercato riconosce il potere simbolico di questi oggetti, non solo la loro bellezza o rarità.»
Il Canaletto ha raggiunto un prezzo record. Da cosa dipende una simile valutazione?
«Dalla somma di vari fattori: la qualità pittorica, lo stato di conservazione, la rarità sul mercato, la storia documentata del quadro. Ma c’è anche un fattore meno visibile: il prestigio che quell’opera porta con sé. Avere il Bucintoro di Canaletto in collezione è come possedere un frammento tangibile del potere cerimoniale della Serenissima. E questo, per certi collezionisti o fondazioni, vale molto.»
Che profilo ha il collezionista che compra queste opere?
«È spesso un collezionista sofisticato, che si muove con discrezione, ma con consulenti esperti e un’ottima conoscenza del mercato. In alcuni casi si tratta di musei o fondazioni private, soprattutto nel mondo anglosassone. In altri, di grandi patrimoni familiari, attenti sia all’investimento sia al lascito culturale.»
Ma se queste opere escono dall’Italia, non si perde qualcosa?
«È una domanda cruciale. L’Italia ha una legislazione molto avanzata sulla tutela, ma spesso mancano i tempi e le risorse per esercitare il diritto di prelazione. Quando un’opera arriva in asta all’estero, il controllo è già sfuggito. E non sempre l’estero significa oblio: alcune collezioni private sono più accessibili e meglio conservate di molti depositi pubblici italiani.»
Cosa pensa della figura del collezionista come “custode temporaneo” di un’opera?
«È un concetto che sento molto mio. Nessuna opera ci appartiene davvero. Possiamo custodirla, studiarla, amarla, ma siamo parte di un passaggio. È per questo che ho sempre cercato di rendere accessibile ciò che colleziono: ho prestato dipinti a musei, donato manoscritti a biblioteche, collaborato con studiosi. Il collezionismo, oggi, dovrebbe integrare bellezza, cura e responsabilità.»
E il collezionismo italiano? Regge il confronto internazionale?
«Dal punto di vista della sensibilità culturale, sì. Ma economicamente fatica. Le imposte sulle successioni, le rigidità burocratiche, la lentezza delle autorizzazioni scoraggiano il mecenatismo privato. Serve una riforma che favorisca la circolazione controllata delle opere e incentivi le donazioni, gli archivi aperti, le fondazioni familiari. In Francia e in Inghilterra, tutto questo funziona meglio.»
Se potesse lanciare un messaggio allo Stato italiano?
«Investite nella protezione, sì, ma anche nell’attrazione. Un libro di Galileo dovrebbe tornare in Italia per scelta, non per decreto. Rendiamo il Paese il luogo più desiderabile per conservare e valorizzare questi tesori. Serve visione, non solo norma.»
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