4 Luglio 2025
le aree interne non sono «desolate»


Quasi un investimento su due tra quelli già autorizzarti dalla Zes unica (ed è stato appena superato il traguardo dei 700) riguarda le aree interne del Sud. Manifattura di qualità accanto a settori più tradizionali, come l’agroalimentare o i servizi alla persona. Ma anche innovazione di alto profilo tecnologico, appena raccontata a Grottaminarda, nel cuore dell’Irpinia, con l’inaugurazione del super laboratorio dell’ITS “Bruno”. Già, Irpinia: ancora oggi si fa fatica a riconoscere che in questo territorio sono attive ben 9 aree di sviluppo industriale, con un peso della manifattura sul Pil totale della provincia superiore al 25% e insediamenti strategici per grandi multinazionali (a Pratola Serra si producono i motori diesel destinati ai veicoli commerciali di tutto il gruppo Stellantis in Europa). E la storia di Benevento “capitale” delle start up? Il report 2024 del ministero delle Imprese e del Made in Italy colloca il Sannio al primo posto nel Sud per numero di start up innovative in rapporto alla popolazione. Se ne contano 93, di cui 48 nel solo capoluogo: sembrano pochine, certo, rispetto ad altre città ma in realtà rappresentano un record per un’area di circa 260mila abitanti come il Sannio perché una start up ogni 2500 abitanti circa è, nei fatti, un primato.

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L’impatto dell’alta velocità

Dicono che quando entrerà in servizio la linea ad Alta velocità/capacità ferroviaria Napoli-Bari garantirà la crescita di almeno un punto di Pil alle aree attraversate. Ma già oggi si può dire che, al netto di criticità note e ancora in parte irrisolte (spopolamento, carenza di servizi di base, abbandono infrastrutturale) per le aree interne della Campania la sfida industriale è già in pieno svolgimento. È il caso, per restare in Campania, della Valle Caudina, tra Sannio ed Irpinia: 300 Pmi, alcune delle quali come documentato anche di recente dal Mattino capaci di occupare spazi di mercato là dove nessuno in teoria avrebbe pensato di cercarli (come l’azienda che produce cassettine di legno pregiato per vini e liquori che si è imposta in Trentino, patria riconosciuta di questo particolare manufatto). Ma basta cercare e tra monti e colline si scoprono aziende che lavorano e trasformano il legno per usi industriali (come per le grandi bobine destinate a raccogliere i cavi di un colosso come Prysmian, in Italia ce ne sono appena cinque), o per delicati interventi di restauro per monumenti come la Reggia di Caserta. Ce n’è persino una che progetta e vende case di legno persino sui monti del Nord Italia. Ma non sono solo le piccole industrie ad essersi ritagliate uno spazio importante in un contesto che solo all’apparenza sembrava destinato a tutt’altra missione.

«Porti della Campania: il lavoro che è stato avviato non si deve interrompere»

Le aree interne hanno portato fortuna e fatturati importanti alla Rolls Royce, ad esempio, che a Morra de Santis in Irpinia realizza lamelle per i motori degli aerei. Mentre ad Airola, nel Sannio, è ormai un punto di riferimento per l’attrattività dell’area la Sapa, azienda leader nell’automotive a livello internazionale, protagonista anche di recente di importanti acquisizioni all’estero. E c’è di più: la crescita delle piccole e medie industrie in questi territori è testimoniata dalla costante richiesta di nuovo personale, con un pressing spesso quotidiano sugli ITS perché – soprattutto per la meccatronica – il bacino di “approvvigionamento” più sicuro e conveniente anche sotto l’aspetto della competenza sembra essere diventato il loro.

Il futuro

C’è dunque un futuro industriale anche per le aree interne? A giudicare da questi esempi (e ce ne sono tanti altri) la risposta non può che essere positiva. E ciò spiega perché sul futuro delle aree interne sta puntando molto anche l’agenda della Politica di coesione sia in Italia sia in Europa. Da noi con la nuova Strategia, approvata nella scorsa primavera, sono state individuate 56 nuove aree interne che hanno affiancato 67 delle 72 aree individuiate già nella programmazione 2014-20. È stato altresì avviato un Progetto speciale per le isole minori (213mila abitanti in totale) che ha portato le aree di progetto complessivamente a 124, pari a 1.904 Comuni per 4 milioni e mezzo di abitanti. È stato appena approvato il Piano strategico, coordinato da una Cabina di regia con sede a Palazzo Chigi, che tutto è fuorché la condanna allo spopolamento irreversibile di questi territori come ha ribadito ieri al Mattino il ministro Tommaso Foti. Investire nelle aree interne è però anche una priorità dell’Europa. Esplicito l’impegno in tal senso messo nero su bianco dal vicepresidente vicario della Commissione Ue Raffaele Fitto, che ha più volte confermato l’urgenza di un cambio di passo per riequilibrare sul piano demografico (ma anche delle opportunità di sviluppo) il rapporto esistente oggi tra le grandi città, dove confluisce il 75% della popolazione europea, e le realtà minori. Un tema che trova immediata conferma anche sul piano economico: il 46% delle imprese agroalimentari italiane, uno dei traini più costanti dell’export nazionale, è situato nelle aree interne (dove si concentra oltre il 50% della superficie agricola utilizzata Italia), con la maggiore presenza di imprese a conduzione femminile e giovanile (rispettivamente il 25% e il 9,2%) e la maggiore vocazione al biologico.

Non è un caso che è qui che si gioca una partita fondamentale come quella della biodiversità: nelle aree interne si trova circa il 70% delle superfici boschive nazionali e ci sono grossi margini di crescita per il turismo sostenibile. «Ci sono le condizioni – dice l’economista di Srm Salvio Capasso – per realizzare in queste aree il nuovo concetto di impresa che non ha necessariamente bisogno per crescere di trovarsi a ridosso o dentro le aree più urbanizzate. Impresa 5.0, o la start up digitale possono benissimo svilupparsi in contesti dove c’è la rete».





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